Mi sarebbe piaciuto un monte parlare di musica in termini normali, utilizzare termini del tipo “è un disco che parla dei tempi che tutti stiamo vivendo” con nonchalance, così come si parla di pannolini, dentifrici e sex toys (perché anche questi ci parlano dei tempi che tutti stiamo vivendo) ma purtroppo i dischi che mi capita di ascoltare non mi parlano mai dei tempi che tutti stiamo vivendo e questo perché, in realtà, noi non stiamo vivendo, stiamo solo funzionando, e non esiste neanche il tempo, poiché questo è solo l’unità di misura sul cui calcolo si ottiene la cifra di sfruttamento su cui tutti siamo costretti ad agire. Un disco, quando merita questo nome, si offre certamente come un prodotto ma, così come la tela e la cornice non fanno il dipinto, non lo è in ultima analisi per come si propone nel supporto perché quello che fa l’opera è il suo contenuto : riprende, mescola, sovverte, inventa sul già inventato e, cosa più importante, aggiunge all’insieme lo spirito e il vissuto di chi lo ha suonato.
I Bau non mi parlano dei tempi che sto vivendo, per le ragioni di cui sopra, ma paiono riferirsi alla memoria che conservo del me primo adolescente, entusiasta dei primi ascolti non provenienti dagli scaffali dei miei genitori, quella strana roba chiamata Grunge, gli approfondimenti che portano ai Tar, ai Mudhoney, fino ad approdare a U-Men e Halo of Flies;
in un altro istante i Bau diventano un megafono per il me adolescente che ascolta per la prima volta i Velvet Underground: una nuova genesi, il rumore che diventa una componente irrinunciabile per poter apprezzare l’insieme, il delirio che diventa estetica, la società che diventa solo un teatrino di marionette costrette in ruoli che non gli appartengono.
Si prosegue e, l’estetica del Rumore, mi spinge fra le braccia di Mummies, New Bomb Turks, Humpers e qui dentro, come rimando e non come riferimento, ritrovo anche loro: il piglio fermo nelle ritmiche ma un’attitudine protesa verso lo scatafascio.
Suoni che si infrangono e traumi che si estinguono semplicemente tornando a galla e riproponendosi in una messinscena studiata, meglio sarebbe detto ordita, dai Bau, veri psicanalisti di illusioni infrante.
Non è un disco da prendere alla leggera ma da ascoltare con la giusta dose di rapimento e studio: qui si balla, ci si schianta contro muri di ghisa e si affronta la vacuità di un primo amore come se fosse quello della vita (il vero asso nella manica di un romantico). In pochi minuti i Bau ci affrangono con tiratissimi affondi Noise Rock per poi risollevarci in danze Post Punk drogate di distorsione e dannazione eterna.
Non un disco per l’estate ma un disco per ogni stagione di ogni singolo individuo. I Bau conosco la grammatica perfetta per poter parlare al presente in eterno.
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