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Recensione : Biscaro Pornopoema

E' vero che Andrea Biscaro ha talento per le storie avventurose ed una fervida immaginazione a cui dà appuntamento all'incrocio tra la fantasia e la ragione facendo scaturire novelle buone e frizzanti

E’ vero che Andrea Biscaro ha talento per le storie avventurose ed una fervida immaginazione a cui dà appuntamento all’incrocio tra la fantasia e la ragione facendo scaturire novelle buone e frizzanti come il primo vino autunnale, lasciando pur dietro di sé il nettare aduso a dare stabilità e corpo alla sostanza vergata che spaccia assecondando il proprio ruolo di menestrello, dotato di ampie vedute e concrezioni adamantine, e di cantastorie per eccellenza, incastonato in un panorama culturale dove si muove invero da demone.

Le poliedriche prodezze, a ‘sto giro, toccano le arti grafiche, sfociando nel fumetto, giacché unendosi al figuro oscuro di nome Sargal, personaggio in incognito di un valente disegnatore del varesotto, si propone come autore dei testi e si pensa che il suo acume sconfini persino in proposizioni scenografiche delle tavole qui presentate.

Ormai, quando si tratta di Andrea Biscaro, si può ben additare la sua arte a un prodotto che versa sul mercato, in levità o in profondità, fortificato da un marchio di forza e affidabilità per quanto concerne la variegata qualità dei contenuti. Il fumetto, o la graphic novel, che dir si voglia, uscita da pochissimi giorni, incuriosisce fin dal titolo: Pornopoema (evitando di scomodare l’Ottieri del Poema Osceno, per via di una certa assonanza).

L’albo è edito dalla salernitana Eretica Edizioni, di Giordano Criscuolo, che ha in mostra un catalogo avvincente ed interessante, il cui proposito è
d’ “emozionare con l’arte e distribuirla come si distribuiscono i baci. Gli obiettivi tecnici, invece, li lasciamo agli avidi colossi dell’editoria”- ciò detto per voce dell’editore. Gioca di sponda un altro appunto del Criscuolo (preso dal sito Diacritica, in virtù dell’articolo di Matteo Marzi): “Eretica è una factory, un ritrovo di persone che amano le lettere, una comune: coltiviamo quello che ci piace, per emozionarci innanzitutto, per sfamarci infine. Stiamo sul mercato come un libro sta su una bancarella. Non ci interessano le cose finte che vendono bene e in questo non siamo per nulla innovativi: vogliamo fare l’editoria che si faceva secoli fa, quella che ha eternato luoghi, personaggi e cadute da cavallo”. 
A fronte di sì lodevoli dichiarazioni, individuiamo il carattere anarchico che motiva le scelte dell’editrice a cui aderisce perfettamente l’opera in oggetto in coppia con l’estro selvatico e druido di Andrea Biscaro.

La trama ha un bel che di onirico e di indagatorio, seppure onirico non voglia significare forzatamente leggerezza, infatti spunta un incubo persecutorio che sembra essere il mandante di un’azione nefanda da compiere e impossibile da interrompere.

Marco Steiner, pittore preso tra genio e sregolatezza, imbocca finalmente il successo e su quello crea la sua fortuna e i suoi agi, ma – è luogo comune a molti – questi benedetti artisti sono sempre in bilico tra sogno e realtà, predati da insofferenza creativo-esistenziale che punta sovente all’autodistruzione. Marco, però, sarà fortunato, troverà l’amore di una bellissima modella inconsapevole di placar le di lui ombre della dannazione. La vita coniugale diventa incanto, gioia, ma il tarlo della tortura cerebrale non abbandona la testa del pittore: immagini dipinte prendono forma fantasmatica o reale? Marco Steiner combatte le sue fobie e soprattutto le paure che hanno concorso al personale patimento artistico; alla fama e all’amore si frappone un grave ostacolo, inafferrabile ed inconscio.

I terrori e gli incubi possono prendere il sopravvento se si insinua il panico della fissazione e allora tocca congetturare il modo di uscire dalla spirale sopraffacente, trovare la via della salvezza che liberi lo spirito da atroci sofferenze, allorquando si è messi spalle al muro da una simile spietata sevizia psicologica pronta a spalancare le porte della pazzia.
I sogni valgon dunque quanto una vita vissuta realmente? Cosa determina quale sia la dimensione tangibile e vera in cui viviamo? È forse il maggior tempo passato in un pensiero a stabilire il luogo nel quale concretamente si vive? Steiner ha di certo un’altra vita, lacerante della prima.

Nella brevità della lettura, perché acchiappa al volo e lascia incollati al seguito dell’incipit, le tavole in b/n forniscono un chiaro, lucido sviluppo degli accadimenti; le successioni delle azioni sono affabilmente ritratte e le scene erotiche abbassano il tono delle violenze sessuali trattate, benché esse siano solo immaginate.

Il corso narrativo delle illustrazioni sono intervallate dalle opere colorate di Steiner, che fanno bella presenza grafico-pittorica, dando corpo a Giulia, la musa che accompagna i deliri di Steiner.

Il lavoro può essere benissimo calato nei fatti di cronaca inerenti al tema della violenza contro le donne, da parte di fulminati maschi preda delle loro paure deformanti, permettendo la trasmigrazione della mente addentro paesaggi auto-flagellanti dal vago, e insano, sapore masochistico; lo sguardo voyeuristico spia dall’occhiello del buco della serratura da cui osservare la bellezza voluttuosa di Giulia, tuttavia il pregio si avverte trasferendo il plot sul versante poetico, affine alla fantasia e ai sogni ritratti dal Sargal, a tutto vantaggio del tratto naturalistico e fumante di immaginazione della matita che spinge la storia a spicciarsi nel ritmo narrativo, componendo immagini suggestive (con un tocco Diabolik, svaporato, evanescente) afferenti al mondo parallelo vissuto da codesto miserando uomo, seppur ricco e stimato professionista, capace di commettere un atto catartico di castrazione mentale per liberarsi in primis dallo svalvolato sé stesso, poi dalle ricorrenti ossessioni recondite di cui è schiavo incatenato, e come spesso capita, effettuando scelte capitali, queste, dalle placche tettoniche della psiche, emergono in superficie nella loro titanica esplosione cerebrale.

L’operazione non è superficiale come sembrerebbe, Biscaro mette in campo ossimori, elementi che si scontrano, e mostra ciò che non è comunemente mostrato in una forma didascalica, e ciò premia la sua creatività che guarda sempre oltre la staccionata di ogni benpensante orticello, usando quella grazia propria degli affabulatori. La sa lunga il nostro autore ed è un tesoro da dissotterrare ogni sua prova editoriale.

Abbiamo, quindi, tutti un blues da piangere?

Un’inclinazione sottaciuta da tenere a bada? Se sì, caro Biscaro, fino a quando?

 <<L’unico rischio è che sia tutto finto e che sia tutta… pubblicità>>


(cit. Edoardo Bennato, “Ma che sarà”).

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