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Recensione : Black Breath – Slaves Beyond Death

Una cascata di riff estremi, monolitici, a tratti vomitati da chitarre in perenne sofferenza, furiose, macabre, che vanno a comporre un totale massacro, ragionato e sapientemente lucido.

Una cascata di riff estremi, monolitici, a tratti vomitati da chitarre in perenne sofferenza, furiose, macabre, che vanno a comporre un totale massacro, ragionato e sapientemente lucido.

Questo risulta, a grandi linee, Slaves Beyond Death ultimo lavoro per il gruppo statunitense dei Black Breath, realtà di Seattle partita come band che univa il thrash all’hardcore in una sorta di devastante crossover, ora trasformatasi in un mostro death metal, ancora dilaniato da intrusioni thrash style, ma oscuro, articolato e debordante.
Tre anni sono passati da Sentenced to Life, album successore del debutto sulla lunga distanza del 2010 Heavy Breathing, e altre due uscite”minori” ad inizio carriera e il combo di Seattle, arriva alla definitiva maturazione con Slaves Beyond Death, opera che, come detto sposta di un bel po’ il sound verso antri bui dove il metal estremo, vede il death come unico signore, richiamando a più riprese le band storiche del filone statunitense, senza perdere un’oncia dello spirito thrash metal che vive e si nutre all’interno dell’album.
Otto brani medio lunghi, a loro modo complessi, esaltati dalle due asce( Eric Wallace e Mark Palm), che lacrimano sangue e sputano odio, in un contesto di metallo terremotante, con il growl cattivo e molto più profondo che in passato di Neil McAdams e l’onda ritmica, che si tramuta in un lungo e terribile maremoto, e a tratti accelera, scaraventandoci addosso tutta la sua inesauribile potenza(Elijah Nelson al basso e J. Byrum alle pelli).
Tellurico è forse il miglior aggettivo per descrivere il nuovo lavoro del gruppo, dove tra i suoi meandri spuntano piccoli ma significanti dettagli che portano inevitabilmente agli Obituary dei fratelli Tardy, anche se in Slaves Beyond Death, la parte thrash continua da essere molto importante per lo sviluppo del sound e la maligna cattiveria che si respira nelle atmosfere, di queste drammatiche e dilanianti tracce corrosive e sicuramente non facili ad un primo e distratto ascolto.
Difficile trovare uno sbocco o un’apertura melodica che possa rendere l’ascolto un po meno carico di tensione e di spessore tra i brani dell’album, che porta con se almeno tre esempi di straordinario death metal suonato negli anni novanta, l’opener Pleasure Pain Disease, Reaping Flesh e Arc Of Violence, con la conclusiva e strumentale Chains of the Afterlife, a rinverdire i fasti dei primi indimenticabili eroi del thrash metal della Bay Area….da avere!

Tracklist:

1. Pleasure, Pain, Disease

2. Slaves Beyond Death

3. Reaping Flesh

4. Seed of Cain

5. Arc of Violence

6. A Place of Insane Cruelty

7. Burning Hate

8. Chains of the Afterlife

Line-up:

Elijah Nelson Bass
J. Byrum Drums
E. Wallace Guitars
Neil McAdams Vocals
Mark Palm Guitars

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