Probabilmente questo disco è una delle cose migliori mai uscite in campo psichedelico pesante in Italia, raramente si sono ascoltati dischi così alle nostre latitudini.
Ritorno dei savonesi Black Elephant con “The fall of the gods “ sulla prestigiosa Small Stone Records Co. Forti di quattordici anni di attività il gruppo ha raggiunto un momento del suo viaggio musicale molto importante, sviluppando ulteriormente il loro già ampio bagaglio musicale, mostrano ancora novità. “The fall of the gods” è un disco che prende spunto da ciò che abbiamo vissuto negli ultimi anni in tutto il mondo e forse il peggio deve ancora arrivare.
In questi anni assai travagliati tante credenze che sembravano incrollabili sono cadute, tante certezze si sono sgretolate e la guerra è ancora e sempre di più fra di noi. In mezzo a tutto ciò arriva l’ispirazione per i Black Elephant per fare un disco che viaggia fra molti generi, abbattendo tutti gli steccati, andando sempre oltre. Dentro il suono fragoroso ed imponente del gruppo c’è di tutto, dal fuzz all’heavy psych, dal desert al blues che è il totem che guarda il gruppo dall’alto. Parlare di generi è quasi sempre sbagliato, e ancora di più in questo caso, perché siamo di fronte a Jimi Hendrix che si mette a fare shoegaze, e lo stoner diventa blues per poi mutare ancora.
Uno dei punti fermi del gruppo è la chitarra di Alessio Caravelli, la vera e propria anima del gruppo, lui ci ha sempre creduto ed è sempre andato avanti migliorando giorno dopo giorno, e questo disco ha una visione musicale ampissima, marcando il vertiginoso miglioramento che ha fatto il gruppo dai tempi delle comunque già ottime prime prove. Qui siamo però di fronte ad un disco totale, quasi mistico sia come musica che come poetica, mille suoni, altrettante atmosfere per un album che ti porta in mezzo al deserto, poi fra il disagio sociale che abbiamo come nel pezzo”Dissociale” che mostra l’amore che Alessio ha sempre avuto per un certo underground incazzoso italiano.
Il disco al primo ascolto mostra un suo possibile aspetto, poi canzone dopo canzone sfuma ancora, prendendo le sembianze di un rito sciamanico in mezzo al deserto, coscienza alterata che vede piani diversi rispetto alla nostra realtà, un qualcosa che cambia catturandoti con un suono meraviglioso e lavico. Ci sono pezzi come “Jupiter” che esplorano una psichedelia che pareva abbandonata da anni, sempre molto desertica e fortemente sensuale. I Black Elephant hanno prodotto un disco totale, ricchissimo e straripante di vita e di visioni. La creazione del disco è venuta benissimo, non ci sono sbavature o peggio momenti di noia, è un viaggio fra polvere e visioni, fra mondi differenti che sono dentro e fuori di noi. Azzeccata la scelta di cantare alcuni pezzi in inglese e altri in italiano, come la bellissima “ Cuori selvaggi” che mostra un lato ancora diverso del gruppo.
Probabilmente questo disco è una delle cose migliori mai uscite in campo psichedelico pesante in Italia, raramente si sono ascoltati dischi così alle nostre latitudini. Collaborano attivamente a questo grandissimo disco Mattia Cominotto con la sua masterizzazione al GreenFog Studio di Genova e la bellissima opera artistica in copertina ad opera di Farfante.
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