Un disco di elettronica devastante e maestoso, anzi un’elettronica che sembra una chitarra noise, un pezzo di metanfetamina che parla di viaggi visti e vissuti.
Blanck Mass è Benjamin John Power dei Fuck Buttons, un personaggio che di elettronica ne mastica un po’. Dimenticatevi la sua dimensione da stadio, ovvero “Sundowner” alla cerimonia d’apertura dei Giochi Olimpici nella culla babilonese chiamata Londra.
Ora la faccenda è un’altra, si scendono i gradini di un’antica cripta e si incontra il lato oscuro della tecnologia, come se le macchine esprimessero il loro disprezzo verso la vita dei loro fondatori.
Il basso è continuo come una percussione africana in una notte senza stelle, il suono è abbastanza minimale ma viene fuori in maniera prepotente dalle casse, senza filtri o compromessi.
In Blanck Mass c’è la dolorosa ammissione dell’imperfezione umana, ma là dove fallisce la carne arriva la disperazione dell’intelletto, creando cose come questo disco.
Lo spettro della musica elettronica è esplorato nella sua intera cosmogonia, dalla cassa in quattro quarti all’ambient, dalla techno violentatrice alla dance più filosofica.
Momenti di cervello e sfuriate di pura pancia e stomaco, in un crescendo di bellezza ed attrazione.
Questo disco si sente sul piano fisico, lo si vive come se respirasse, e non si può rimanere indifferenti.
Il disco è frutto di grande lavorio, dato che in tre occasioni è stato riprodotto integralmente, sostituendo ogni volta la strumentazione, fino ad arrivare al risultato voluto da Benjamin.
Le varie stratificazioni elevano questo disco come un strada moderna sopra a migliaia di anni di storia.
Un disco che sarebbe piaciuto a Stanley Kubrick e alla sua fissa per l’eterno ritorno, perché qui dentro c’è tutta l’elettronica che va e viene, e lascia un’impronta profonda.
Una delle cose più notevoli del disco è di essere esoterico ma di facile comprensione, non è affatto elettronica intellettuale, vuole essere capita e condivisa.
Piano piano ed in silenzio lo scettro della musica elettronica sta tornando nella terra britannica.
Tracklist:
1. Loam
2. No Format
3. Dead Lite
4. Atrophies
5. Cruel Sport
6. Doubel Cross
7. Lung
8. Detritus