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Recensione : BOB CILLO & MAFIA TRUNK – MINIMUM WAGE GUARANTEED

Un tassista di Chicago, vedendoci carichi di strumenti, esclamò: “Don’t worry, I have a Mafia Trunk!”“.

Inizia così, con questa esperienza raccontata a mo’ di sceneggiatura cinematografica, l’avventura del moniker Bob Cillo & MAFIA TRUNK, ma non scambiateli per una gang di paisà malavitosi italo-ammerrecani. O forse qualche nesso c’è, perché il progetto ha salde radici nell’Italia meridionale, e precisamente in Puglia (un quartetto composto dal chitarrista e frontman Bob Cillo dei Dirty Trainload, dal batterista JJ Springfield, proveniente dai Santamuerte, dall’armonicista Mino Lionetti degli Shuffle’s Brothers e dal bassista Maurizio Leonardi dei Sangue) ma la natura della loro proposta musicale affonda mani, piedi, orecchie e cuore in un altro tipo di America, quella del Delta blues e della scuola di Chicago, che ha più a che vedere coi canti degli schiavi afroamericani sfruttati dall’uomo bianco nei campi di cotone, invece che relazionarsi con la mafia esportata dalle famigghie italiane emigrate negli States nei secoli scorsi. Dall’uomo bianco, però, i nostri hanno ereditato la passione sana per il Sixties garage rock slabbrato e fragoroso, che hanno pensato (bene) di miscelare con l’amore per la musica nera, il blues acustico/elettrico di Robert Johnson (citato da Bob e soci per descrivere la loro musica con la frase: “Blues falling down like hall” tratta dal brano “Hellhound on my trail“) Muddy Waters, Howlin’ Wolf, John Lee Hooker, Little Walter, Bo Diddley, BB King, Willie Dixon, Jimmy Reed (e altri) che all’inizio degli anni Sessanta del Novecento è stato saccheggiato proprio dalla British Invasion degli Stones, Kinks, Pretty Things, Yardbirds e company, che pure sono presenti come influenze sonore dei quattro finti picciotti.

Una delle uscite più apprezzate di questo inizio 2023, su Ciqala Records, “Minimum Wage Guaranteed” rappresenta l’album d’esordio per Bob Cillo & MAFIA TRUNK, e sono loro stessi a descriversi come “quattro compagni perdutamente innamorati di blues e irrimediabilmente intossicati di garage rock ‘n’ roll“, infondendo nuova linfa vitale nel genere che amano creando un sound di sicuro impatto creativo e freschezza espressiva. Un Lp che profuma di “antico moderno” già dalla copertina, raffigurante un vecchio giradischi (oggetto feticcio tornato di moda negli ultimi anni) e dai suoi solchi viene fuori un passato che dialoga col presente, con sonorità ruvide e dirette che non si limitano solo a far battere il piedino e saltare (come nella trascinante title track posta in apertura, o nella scatenata “Crawling at your door“) ma fa anche riflettere, come nel caso di “Old homeless man” (dedicata alle fasce sociali più deboli, marginalizzate da questa società odierna disumanizzata in cui conta solo l’apparenza e che tira dritto senza guardare in faccia a nessuno, soprattutto i poveri anziani che restano senza fissa dimora a causa di indigenza, e che obbedisce solo al credo capitalistico che ha il culto del dio denaro e il disprezzo/criminalizzazione degli “ultimi”… oggi essere povero è considerata una colpa) e in “Just because you’re paranoid“, incentrato sul modello di società Orwelliana distopica in cui il cittadino è ossessionato dal sapere di essere spiato e costantemente monitorato da un Grande Fratello autoritario che controlla la sua vita. Completano il lotto tre cover di standard della tradizione blues: “Don’t start crying now” di Slim Harpo, “Trouble in mind” di Lightnin’ Hopkins e “I wish you would” di Billy Boy Arnold, tutte reinterpretate con un approccio personale rigoroso ed energico.

Un album suonato da “terroni” che rendono omaggio alla musica dei “negri” antenati dei “clandestini” nuovi schiavi morenti e/o sopravviventi sui barconi odierni, e cosa c’è di più politicamente scorretto di questo da rivendicare oggi, soprattutto nella nostra Italietta a trazione fascioleghista? Di sicuro è materiale incandescente che non piacerà ai sovranisti di cartone che gli italioti hanno votato e si meritano.

 

 

 

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