Torna l’inossidabile Anton Newcombe, icona a tutto tondo della scena neopsichedelica degli ultimi tre decenni, e lo fa rimettendo in moto la sua creatura prediletta, autentica croce e delizia, i Brian Jonestown Massacre, arrivati ormai al diciannovesimo capitolo (che arriva a tre anni di distanza dall’ultima fatica discografica omonima) del loro stonato e scoglionato, turbolento ma anche coerente e fiero percorso musicale che dura dall’ormai lontano 1990. “Fire Doesn’t Grow on Trees” è il risultato di una rinnovata ispirazione (non ancora terminata: il nostro ha già annunciato di avere in cantiere un nuovo disco, la cui uscita è in programma nel mese di ottobre) che segna una nuova rinascita artistica di Newcombe che, dopo un periodo di blocco creativo, ha impiegato fruttuosamente questi ultimi due anni contrassegnati dallo stop forzato a concerti e tour mondiali, dovuto alla pandemia da covid-19, per ritrovare la vena compositiva che gli ha sfatto sfornare un prolifico lotto di nuove canzoni (almeno sessanta negli ultimi due anni) dal quale sono stati estratti i dieci brani che formano questo nuovo Lp e, in fatto di psichedelia fuzzata, ormai raggiunto sul campo un importante livello di stima e rispetto guadagnato sia presso il mainstream, sia in termini di credibilità underground (pur rimanendo nell’ambito etico dell’essere indipendenti e prodursi da soli gli album) i BJM hanno pochi rivali quando si tratta di riproporre una formula sonica che fa sempre affidamento sugli stessi stilemi (Velvet Underground, Spacemen 3, Galaxie 500, My Bloody Valentine, Jesus and Mary Chain, Stones, Floyd Barrettiani) e sa miscelarli sapientemente in un riuso intelligente (o furbo?) di immagini e suoni del passato, ricontestualizzati in uno scenario sognante tardo-hippie, come frammenti di un pianeta “altro” ricuciti nel qui e ora per far godere l’ascoltatore delle visioni lisergiche musicate dal vulcanico frontman californiano (ma di stanza a Berlino, dove incide i suoi dischi nel suo studio di registrazione) Newcombe.
La comune psichedelica dei Brian Jonestown Massacre si arricchisce quindi di un nuovo Lp, che certo non si risparmia quanto a litanie epiche (come nell’iniziale “The Real” o in “Whats in a name?“) suoni spaziali e droni (“Before and afterland“) groove noise pop accelerati (“Ineffable Mindfuck“, “Don’t let me get in your way“) tamburini, stomp psych (“Silenced“, “#1 lucky kitty“) echi Morrisoniani (“Wait a minute“, “You think I’m joking?“) le immancabili maracas (“It’s about being free really“) e una azzeccata combinazione di chitarre acustiche ed elettriche.
“Il fuoco non cresce sugli alberi“, come del resto anche il denaro, e ci piace pensare che il titolo del disco rappresenti un invito per tante persone a non starsene con le mani in mano, tornare a vivere e lottare, non lasciarsi trascinare alla deriva dal mare di questi anni di merda e tentare di fare qualcosa di importante per se stessi e per gli altri, sviluppando il proprio “fuoco”, coltivandolo, migliorandolo e confrontandolo ogni giorno con quello di altre anime simili, mettendolo alla prova e non permettendo alla propria fiamma (sia essa creativa, di un particolare talento, sia anche quella della “semplice” volontà di rendere questo mondo un posto meno schifoso di quel che è oggi) di essere spenta da niente e nessuno.
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