Esiste un modo per vedere un po’ di bellezza in questa nostra dimensione mettendo da parte il brutto e il comprabile, penetrare ancora all’interno di noi stessi per scavare ?
Certo, è nutrirsi di fastidio e di eliminare la quiete, come propongono da tempo i Canaan, gruppo sperimentale ed unico, con il loro nuovo disco “Ai margini” per Toten Schwan Records, composto da elegie per chi vive e lotta lontano dal centro.
I Canaan sono il gruppo più musicale mai esistito : non fa concerti e fa dischi quando gli pare, lasciando la propria impronta sonora che va ben oltre la musica.
Minimalismo universale, musica ridotta all’osso eppure ricchissima e molto feconda, testi che fluttuano, o ci cadono addosso come antiche litanie ascoltate sull’odierno asfalto, luci e tantissime ombre, ma soprattutto i Canaan invitano a prendere una nostra forma nella loro musica, cercando il nostro loculo dove chiuderci, capendo infine che la nostra non è alcuna importanza ma solo superbia.
“Ai margini” non si può affatto definire un disco difficile, perché viaggia oltre le colonne del giudizio, suonando un genere tutto suo che non si può che definire sperimentale in mancanza di un qualcosa che gli calzi maggiormente ma che non esiste. I Canaan creano una divina commedia tutta loro, un’esplorazione degli angoli più reconditi e maledetti delle nostre città, mettendo piede nei simulacri che teniamo più nascosti agli occhi altrui e ai nostri.
Questo lavoro è unico come è unica la carriera di questo gruppo che gioca da sempre con tantissimi elementi musicali, intendendo i dischi come fossero libri, dove buttare l’anima dentro, aspettando di non capire quello che succede ma intuendolo, il massimo che si possa fare essendo umani. Ascoltare questo disco è come ritornare ad osservare il cielo di migliaia di anni fa durante la notte senza luce, allineati con la natura e senza ubris, con molta paura di vivere l’assurdo.
“Ai margini” è un disco misterico nel senso di iniziatico ed ermetico, un qualcosa che è ben oltre la musica, con le sue pause narrative, i suoi spazi immensi e l’uso di una metrica musicale che lentamente non si ferma mai, continuando ad avanzare in concerto con le nostre sinapsi, senza badare al copro, lambiti dall’acqua e dall’universo. Musica coltello che penetra dentro che fa uscire sangue caldo fuori in un ambiente gelido, provando piacere a curarsi le ferite.
Disco di confine e di confini che cadono, di spazi fra luci ed ombre, fra vita e morte, fra prati e boschi, fra scienza e paganesimo ortodosso.