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Carmine Mangone – Fuoco Sui Ragazzi Del Coro

Servirebbero più scrittori come Carmine Mangone, che con il suo originalissimo tratto riesce a rendere con poche parole e con un semiotica punk molte sensazioni e molti sentimenti, rendendo chiara ed esaustiva la sfumatura come il concetto principale.

Definire l’anarchia non è semplice, anche a causa dell’enorme disinformazione che c’è stata, c’è e ci sarà sull’argomento.

Quando questa società odia qualcosa per le più svariate ragioni, lo infama, ne rovescia il significato e fa credere che sia l’esatto contrario di quello che veramente è.
Anarchia vuol dire tante cose, soprattutto solidarietà e sentimento.
In questo libro il significato di anarchia è molto vivo, nuota dentro le righe, senza bisogno di alcuna enunciazione, poiché vive dentro la storia narrata.
La storia in questione è il diario in prima persona di un combattente repubblicano anarchico che parla della sua storia durante la guerra civile.
Oltre ai combattimenti nella Colonna Durruti, possiamo leggere anche della storia del narrante, del suo amore per una donna, amore che tiene in vita il suo attaccamento alla stessa, che lo porta a fare certe scelte pur senza abbandonare la battaglia.
Ciò che risalta più da questo racconto di trenta pagine è la vivida descrizione dell’anarchia e di quello splendido periodo che poteva segnare l’avvio di una nuova epoca e che, forse, avrebbe segnato una svolta nella nostra storia.
Anarchia è vivere trasbordando, sfruttando al massimo le nostre energie, vivendo e non facendoci vivere da questa società parassitaria e dalle nostre stesse pulsioni di controllo e punizione.
L’anarchia è dentro di noi, la possiamo vivere se la sblocchiamo come l’energia attraverso i chakra, non dobbiamo assolutamente sintonizzarci su qualcosa, ma restare sempre scollegati e lottare, sia per noi stessi che per gli altri.
Questo libro è scevro di retorica, non esiste una doppia lettura, è brutalmente sincero e condivisibile.
Il maggior crimine che possiamo compiere è quello di restringere la nostra unicità, quello di farci rinchiudere in un recinto, dando il benvenuto ai nostri padroni dentro e fuori di noi.
In questo splendido libro si trova soprattutto l’accettazione del nostro essere umani, della nostra caducità e della non riduzione ad un dogma o ad una sintassi corporea.
Noi siamo ciò che siamo, noi siamo ciò che lottiamo, noi siamo ciò che gli altri non potrebbero gradire. In quella calda estate del nostro animo c’è stata la migliore sintesi possibile tra un governo possibile e la nostra natura, e tanta gente lottava già sapendo di poter essere sconfitta, anzi la sconfitta era già sicura poiché si lottava contro i lupi e i loro amici.
Mangone ha la bravura di descrivere dal dentro tutto ciò, facendo davvero sembrare il racconto un diario verosimile, un moto dell’animo di chiunque non voglia vivere sotto un qualsiasi giogo.
La battaglia contro noi stessi è quella più dura, ma la libertà, la vita, la nostra carne e la carne che desideriamo sono faccende troppo importanti per essere seppellite sotto un cumulo di merda.
Servirebbero più scrittori come Carmine Mangone, che con il suo originalissimo tratto riesce a rendere con poche parole e con un semiotica punk molte sensazioni e molti sentimenti, rendendo chiara ed esaustiva la sfumatura come il concetto principale.
Bisogna avere il coraggio, come Carmine, di dire che tanto gli stalinisti quanto Franco hanno ucciso un sogno, un sogno che però, a differenza del fascismo e del comunismo, non è fuori ma ben dentro di noi, e sta a noi e solo noi farlo trasbordare.
Dolcissimo perdersi in questa tempesta che è Mangone e il suo racconto.

Noi non siamo l’umanità. Noi siamo la presenza del senso che trasborda energia e rumore oltre l’orizzonte degli eventi.

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