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Recensione : Cenotaph – Riding Our Black Oceans

Ristampa del magnifico “Riding Our Black Oceans” dei messicani Cenotaph.

Tra le tante ristampe più o meno importanti che escono ogni mese in ambito metal, molte sono senz’altro superflue mentre alcune sono invece importantissime per riportare alla luce album bellissimi che, a meno d’essere all’epoca dell’uscita dei fan incalliti, sicuramente sono stati trascurati per seguire le band più famose.

Riding Our Black Oceans dei messicani Cenotaph è sicuramente uno di questi, trattandosi di un magnifico esempio di death metal melodico uscito nella prima metà degli anni novanta, quando nel frattempo la scuola scandinava consolidava il suo primato in Europa.
Fondati nel 1989 a Mexico City da Daniel Corchado e Oscar Clorio, i Cenotaph esordiscono nel 1990 esordiscono con un EP, ma è del 1992 l’esordio sulla lunga distanza con “The Gloomy Reflection Of Our Hidden Sorrow”, dove prevale un death/doom potente e brutale.
L’abbandono di Corchado porta Clorio a rivoluzionare la line-up e, con l’aiuto dei nuovi entrati, i Cenotaph svoltano verso le sonorità che li renderanno famosi e, nel 1994, esce Riding Our Black Oceans, il capolavoro della band messicana: il sound dei nostri si riempie di soluzioni melodiche, tanto che a tratti esce prepotentemente dai solos l’impronta classica delle band heavy metal, Maiden in primis.
Il disco risulta un concentrato di metallo estremo, vario, tecnicamente ineccepibile e fantasioso, tutt’altro che una copia d’oltreoceano del genere che sbaraglia la concorrenza in Europa, ma vero manifesto di una band dalla personalità debordante.
Sono della partita Edgardo Gonzalez alle vocals, protagonista di una prova dirompente e passionale, Julio Viterbo e Cesar Sanchez alle Chitarre, i colpevoli dei solos maideniani, e la sezione ritmica composta da Clorio alle pelli e Fernando Carcilazo al basso, i quali sorprendono per perizia nei numerosi cambi di tempo e le cervellotiche soluzioni ritmiche.
L’album conìtiene nove brani di melodic death maturo, a tratti progressivo, una cascata di melodie drammatiche di una bellezza disarmante: non una nota è fuori posto in questo lavoro consacrato all’olimpo metallico da brani come Severance, Macabre Locus Celesta, Among the Abrupt, Soul Profundis e Ectasia Tenebrae.
Gli stessi Cenotaph non riusciranno più a replicare un disco di questa portata, che è senz’altro uno dei migliori del genere degli anni novanta, talmente alta è l’amalgama tra passionalità, emozione e pura qualità tecnica.
Prima dello scioglimento la band, con la stessa formazione, registrerà nel 1996 “Epic Rites”, che manterrà una buona dose dello stato di grazia del suo predecessore senza però raggiungerne i vertici, e l’ultimo “Saga Belica”, prova sottotono datata 2002 che porterà poco dopo allo split.
Assolutamente da avere, Riding Our Black Oceans non risente dell’usura del tempio e risulta ancora oggi un album magnifico, potenzialmente inarrivabile anche per molte band dei giorni nostri.

Tracklist:
1. The Solitudes
2. Severance
3. Grief to Obscuro
4. Macabre Locus Celesta
5. Among the Abrupt
6. Infinitum Valet
7. The Silence of Our Black Oceans
8. Soul Profundis
9. Ectasia Tenebrae

Line-up:
Edgardo González – Vocals
Julio Viterbo – Guitars
Fernando Garcilazo – Bass
Oscar Clorio – Drums
Cesar Sanchez – Guitars

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