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Recensione : CHEATER SLICKS – ILL- FATED CUSSES

A undici anni di distanza dall’ultimo vero studio album, “Reality is a grape” del 2012, tornano anche i Cheater Slicks, amata garage LO-FI/blues/psych punk band (originaria di Boston, poi trasferitasi in Ohio) attiva dal 1987 e protagonista di Lp che hanno segnato e cavalcato gli anni ruggenti del garage rock revival (e di altre sonorità sconce e zozze) come l’esordio “On Your Knees” , “Destination Lonely“, “Whiskey“, “Don’t like you” (realizzato insieme all’amico e fan Jon Spencer, che fece anche da producer) “Forgive Thee” e “Refried Dreams“, prima di conoscere alti e bassi e lunghe pause.

Musica atonale, slabbrata, sgangherata, sporca, per misantropi, che parla di roba pesa (tentativi di suicidio, nichilismo, paranoia, depravazioni sessuali, brutti trip in acido, la consapevolezza di essere losers e reietti della società perbenista, rabbia anarcoide) fatta da disadattati per disadattati, “100% negative energy rock ‘n’ roll“. Fuori posto in qualsiasi scena: considerati troppo fracassoni e astratti per i puristi fan del garage rock, “troppo rock ‘n’ roll” per la platea amante dell’indie rock, sostanzialmente troppo oltraggiosi per essere ascoltati ogni giorno dall’ascoltatore medio di ruoooock sulle radio generaliste, insomma.

Finalmente i nostri (Dana Hatch alla batteria/voce/tastiere e i fratelli Shannon alle chitarre, voce e synth) coadiuvati da James Arthur e Will Foster, tornano incidere un nuovo disco (a ventiquattro anni dall’ultima collaborazione, se si esclude il long playing celebrativo con Bill Gage nel 2021) sulla benemerita In The Red Recordings, e in questo 2023 danno alla luce “Ill-Fated Cusses“, undicesimo long playing ufficiale, e constatiamo con piacere che il terzetto, con i dieci nuovi pezzi proposti, non ha perso nulla del suo proverbiale lerciume sonico e non ha ceduto ai morbidi compromessi di una tranquilla vecchiaia, e ce lo fa subito capire con l’opener “The Nude Intruder“, con un cantato sgraziato e stonato che parte lento per poi deflagrare in due minuti e mezzo di rock ‘n’ roll sudicio, ai quali seguono i cinque minuti disperati di “Fear“, brano che non avrebbe sfigurato nel repertorio apocalittico dei Flipper, mentre “The #4” è uno sferragliante R’N’R perfetto per il pogo. C’è un omaggio alla leggenda rockabilly di Memphis, Charlie Feathers, con la cover di “Cold dark night“, cantata però nello stile di Mark Lanegan, poi si sprofonda nel cupo noise recitato di “Lichen“, che chiude la prima facciata del full length, che riparte con l’azzeccata melodia di “Reaching through“, la canzone più pop oriented del lotto, che rimanda alla elettrica spensieratezza dei primi Teenage Fanclub. La lunga “Garden of Memories” è una ballad che rimanda ad alcune cose (soprattutto nel lamento latrato alla Mark Arm) degli ultimi Mudhoney (band già coverizzata dai tre, che rifecero la loro “Ghost“) e nelle due sarabande rumoristiche di “Flummoxed by the Snafu” e “Coming back to me” si può immaginare di sentire il puzzo delle casse delle lattine di birra scolate, intravedere lo sporco sotto le unghie delle mani che maltrattano gli strumenti e annusare il fumo di sigaretta (o altro) che ha pervaso la tappezzeria della sala prove dove saranno state messe a punto. La conclusiva “Far Away Distantly” è un’altra ballad malinconica sui generis, un country-punk che suona un po’ come se i Meat Puppets in concerto invitassero sul palco Mark Arm alla voce per eseguire una outtake inedita di album come “II“.

Siamo contenti di registrare che, dopo tre decadi e mezzo, e nonostante un mondo in cui tutto cambia in fretta (e in peggio), i Cheater Slicks restano fedeli alla linea e si cibano ancora del caos per vomitare album grezzi che non fanno prigionieri.

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