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Recensione : Club Dogo “Club Dogo” (2024)

Club Dogo: Jack La Furia, Guè e Don Joe sono cresciuti, sono cambiati, come è cambiato il mondo intorno a loro. Ma l'album suona, a suo modo, ancora incendiario.

club dogo

Sono passati dieci anni ma sembrano passati dieci minuti. Era il 2014 e usciva “Non siamo più quelli di Mi fist“. Il Dogo da lì a poco avrebbe deciso di mettersi in stand by per dedicarsi ai rispettivi progetti solisti. Sono stati dieci lunghissimi anni, fatti di speranze e timori, per quello che avrebbe, un giorno, potuto essere il loro disco di ritorno. Un decennio che si conclude oggi, gennaio 2024 con il loro nuovo album.

“Club Dogo”. Niente di più. Un titolo che racchiude in sé e nella sua essenzialità che cosa sia oggi il Dogo. Dieci anni che si sciolgono dopo dieci minuti di ascolto. Quelli necessari per metabolizzare l’emozione per i primi tre brani, sparati uno dopo l’altro. Dieci minuti che sanciscono il loro ritorno e che ci riportano indietro nel tempo, quando il Dogo era un progetto incendiario, agli albori degli anni duemila.

Sono passati vent’anni dal dirompente esordio di “Mi fist”, e il trio non è – ovviamente – quello di un tempo. Jack La Furia, Guè e Don Joe sono cresciuti, sono cambiati, come è cambiato il mondo intorno a loro. Ma l’album suona, a suo modo, ancora incendiario.

Pienissimo di autocitazioni, e – fortunatamente – meno di feat. “Club Dogo” è un album praticamente perfetto. Dalla produzione, eccelsa e curatissima, alle tematiche, attuali, autoreferenziali, pop(olari), dirette ed efficaci. In pratica quello che ci siamo augurati di trovare, prima o poi, guardando ad un loro ritorno, mai espressamente dichiarato, ma da tutti auspicato.

Il vero problema dell’album è la nostra accoglienza. Al netto del fatto che secondo noi “sono ancora quelli di Mi fist”, possiamo considerare “Club Dogo” un album intellettualmente onesto? La domanda è più che mai lecita. È un album marchiato Dogo al 100% che suona Dogo al 100%. Il dubbio sta nel fatto che, negli ultimi anni, rischiavano di trasformarsi in quello che avevano sempre osteggiato e schifato. Il rischio di diventare un fenomeno mainstream ha rappresentato il loro grande fardello. Non possiamo negarlo. Le tematiche di un tempo riproposte oggi, per qualcuno possono suonare distanti, ben oltre i dieci anni, vista anche la loro storia personale, fatta di riconoscimenti mediatici. Per cui che possiamo pensare? Sono dei paraculi? Ci sta, almeno in parte. Ma sono sicuramente dei paraculi che sanno fare il loro come nessun altro in Italia.

Al netto del ruolo del duo composto da Jack La Furia e Guè, mi piace sottolineare il ruolo di quello che non fatico a individuare come il vero mastermind del progetto. Don Joe. Se il trio funziona, pensa e agisce come tale, compatto e granitico, il ruolo di Don Joe è fondamentale. Così come sono fondamentali i suoi beat, sempre a fuoco, sempre eleganti, sempre perfetti.

Club Dogo” è un disco che avrebbe potuto rappresentare un punto di svolta. Ma per fortuna negli undici brani non c’è un grammo di innovazione. Questo è quello di cui avevamo bisogno, quello che volevamo. Le buone intenzioni spesso si perdono nel fallimento degli esperimenti. Per cui meglio un album – come detto – Dogo 100%, che una tragedia annunciata.

Come un tempo abbiamo a che fare con la discesa negli inferi che agitano l’anima più nera di Milano, come in un gangsta movie ambientato in una città splendente, in cui però le ombre sono molto più numerose delle luci.

Il Dogo è tornato per mettere le cose a posto.

“Togliete i piedi dal tavolo, i capi sono tornati a casa”

Club Dogo

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