Ci sono sentenze inappellabili nelle nostre vite. Momenti cui è impossibile sottrarsi. Esistono da sempre. E da sempre ritornano, che ci piaccia o meno, a condizionare le nostre esistenze. Possiamo provare a rimandarli, per non dover essere costretti a sottostare all’incombenza di doverli affrontare nell’immediato, ma è chiarissimo, a noi per primi, che si tratta di stratagemmi che non spostano che di poco il nostro dovere. Perchè proprio di dovere si tratta a nostro avviso. Il dovere morale di prendere una posizione, laddove la storia ma soprattutto la nostra coscienza ce lo impone.
Possiamo, come detto, rimandarlo facendo finta che vada tutto bene, continuando a specchiarci nel narcisistico ed effimero microcosmo dei social network, mare più che mai in tempesta in cui regna il nulla incontrastato. Ma è un palliativo inutile, prima o poi saremo costretti a mostrarci per quello che siamo, mettendoci la faccia. Il relativo anonimato della rete ci permette di prolungare l’agonia interiore ma al tempo stesso non può permetterci di protrarla all’infinito. Arriverà (giustamente) il momento in cui doverci guardare allo specchio.
Troppo facile dichiararsi fuori dai giochi, mostrando disinteresse o distanza rispetto a ciò che sta accadendo per paura di dover rivelare quelle che sono le nostre reali idee in merito. Lo spessore delle persone si misura (anche) in momenti come questi. Dove le divergenze creano spaccature e occorre capire come ricostruire ciò che è andato disgregandosi.
C’è un tempo per ogni cosa, anche per prenderci le nostre responsabilità.
Gli eventi della vita ci pongono spesso davanti a un bivio. Stai a noi smettere di prendere la strada in discesa, meno irta di problemi da risolvere. Non è rimandandoli che possiamo pensare di allontanarli. Torneranno, come è giusto che sia.
E invece no. In troppi ancora restano lì, in attesa che qualcun altro risolva i problemi per conto loro. Perseverano nel non prendere un posizione, anche se tutto precipita e il loro mondo gli sta sfuggendo dalle mani.
In tanti hanno gridato la loro rabbia contro la presunta “dittatura sanitaria” scegliendo come simbolo di lotta la rimozione della mascherina. L’unico effetto concreto che hanno ottenuto è stato però quello di “gettare la maschera”, mostrando il loro vero volto. Non hanno quindi gettato via come ribelli del nuovo millennio la mascherina sanitaria ma quella che hanno usato in questi anni per nascondersi, per crearsi un ruolo consono al perbenismo cui si sono assogettati, in modo da riuscire a stare laddove le loro idee non gli avrebbero mai permesso di stare. Ovviamente, nella remota ipotesi che le avessero rese pubbliche. È divertente vedere oggi personaggi dichiaratamente filofascisti recitare ruoli da cagnolini ammaestrati per non perdere il loro status da social network, mascherati da buontemponi, amici di tutti, manifesti viventi della tolleranza. Sinceramente li preferivo quando andavano a braccetto con Casa Pound e amici, quando, pur se lontani dalle mie idee, avevano il mio rispetto per il coraggio di aver scelto una posizione scomoda senza farne mistero.
La vita divide, crea diramazioni ad ogni occasione. E ti chiede di avere il coraggio di prendere una posizione, per quanto scomoda possa essere, e per quanto ulteriormente divisiva possa risultare. Non è più accettabile stare nel mezzo, in attesa che la burrasca passi da sola. È giunto il tempo di schierarsi apertamente, per diradare questa “zona grigia” che da troppo tempo aleggia sulle nostre coscienze annebbiando il presente, e lanciando nubi su quel futuro che pare sempre più distante.
Che sia musica o letteratura, poco importa. Le scelte sono sempre necessarie. In ogni campo. E meritano rispetto indipendentemente da ciò che si pensa. Meno ne merita chi resta silenzioso in attesa che il vento inverta il proprio moto e che ci si dimentichi di quanto accaduto.
Non pretendo che si condividano le mie idee, spesso non le condivido nemmeno io. Chiedo solo onestà intellettuale a chi pensa di confrontarsi con me, a chi con me vuole intraprendere un percorso, a chi mi chiede informazioni, a chi mi critica (spesso giustamente). Franchezza, solo questo. Non è necessario pensarla in modo univoco per confrontarsi, è però obbligatorio capire chi si ha di fronte. Sulle menzogne non si costruisce nulla. Non ho mai escluso nessuno in modo aprioristico, e mi sono messo in discussione con chiunque abbia voluto cercare un dialogo costuttivo, convinto che nella “contaminazione” delle idee risieda la via per una crescita interiore e collettiva. Restare indomitamente “fedeli a noi stessi” in virtù di una coerenza superomistica è un’idiozia che porta solo all’estinzione. Cambiare è, oltre che inevitabile, una delle cose più belle che possano esistere.
Rinnovarsi, evolvere. Tutto ciò che deriva dalla contaminazione con gli altri è linfa vitale. Ma se “gli altri” non si pongono su un piano di onestà intellettuale allora è tutto inutile, gli sforzi sono vani. Si resta sempre al palo. Ancorati all’idea di una crescita che altri negano, in virtù di una “supremazia intellettuale e culturale” che non possiamo né scalfire né comprendere.
È come sempre il tempo la vera discriminante di tutte le situazioni in bilico. Basta solo saper aspettare. Chi zoppica prima o poi cadrà e farà parecchio rumore. Ma soprattutto non ci sarà nessuno ad aiutarlo a rialzarsi perché siamo tutti sacrificabili sull’altare di qualcun altro.