C’è un abisso, spesso inesplorato, ancor più spesso volutamente ignorato, che separa il mondo che ci siamo creati dalla realtà. E più nello specifico è enorme la forbice che divide ciò che pensiamo di essere e di rappresentare, da quella che è invece la percezione altrui della nostra figura. Siamo ormai talmente distaccati dalla realtà oggettiva del mondo concreto e tangibile, che non ci rendiamo conto di esserci proiettati in un universo parallelo illusorio del tutto avulso dal contesto fattuale. La nostra alienazione ci colloca all’interno di un meccanismo perverso da cui non siamo più in grado di distaccarci. E che non ci permette di vivere razionalmente. Siamo al paradosso per cui viviamo come “reale” ogni dinamica che affrontiamo, pur sapendo che non lo è per nulla.
Siamo così alienati rispetto al contesto della vita che scorre via inarrestabile senza tener conto delle nostre deviazioni, che abbiamo finito per creare uno sviluppo ipertrofico del nostro ego come difesa da tutti coloro che cercano saltuariamente di riportarci alla razionalità dei fatti e del pensiero. È qui che l’abisso si dilata ulteriormente, portandoci a considerare come nemico chiunque possa anche solo pensare di scalfire il nostro status quo. A noi piace vivere questa realtà alternativa, dove oltre a non esistere alcuna forma di dissenso, regna forte e incontrastata la nostra autostima.
È ancora una volta internet a creare queste anomalie che ci portano a “vivere” come reali dinamiche contestuali a situazioni che fanno proprio dell’assenza di logica e di tangibilità razionale il proprio punto di forza. Sono universi che si autogenerano costruiti sul nulla, proprio perché collocati in contesti che esistono solo nell’etere della rete. L’errore più grande, e più frequente, è proprio di tutti coloro che pensano di adattare alle dinamiche da social network le stesse regole della vita quotidiana. Abbiamo plasmato un modello tridimensionale di noi stessi che, oltre a non essere reale, è inserito in un contesto privo di sostanza, monodimensionale, che pur se distante da quelli che sono i nostri valori, finiamo per accettare, in virtù della necessità di trovare una collocazione che possa lenire le nostre ferite. Per cui è solo qui, solo all’interno di quel bizzarro circo chiamato social network, che riusciamo a trovare la dimensione ideale per arrivare a quella visibilità costantemente negata dalle dinamiche quotidiane.
E per non essere da meno rispetto agli altri che hanno fatto la nostra stessa scelta, cerchiamo di affrescare la nostra figura in modo da renderla quanto più pietosa possibile ai caritatevoli occhi altrui. In modo da rivestire quel ruolo di emarginati che possa impietosire il popolo della rete, sempre solidale coi più deboli, sempre così incline a mostrare i propri buoni sentimenti a colpi di “like”.
La tristezza di rapporti di questo tipo ci porta a diffidare dei reietti di turno, maschera dietro cui si nascondono i peggiori narcisisti esistenti. Non potrà mai esserci alcun tipo di interazione con chi pensa di impostare una “relazione” su queste basi. Anche perché la (nostra) storia ci ha insegnato che tutto crolla sistematicamente e irrimediabilmente nel momento in cui azzardiamo contraddire questi finti disagiati. Sarà allora, quando getteranno la maschera che accenderanno la luce accorgendosi di essere (sempre stati) soli in una stanza buia che credevano affollatissima. Troviamo inaccettabile l’idea di rifarsi una verginità online perché nel quotidiano non siamo in grado di mostrare quello spessore che ostentiamo invece in rete. È tutto talmente drammatico che diventa quasi ridicolo. Fuggire dalla realtà per infilarsi in uno spazio virtuale non aiuta a risolvere i nostri problemi relazionali, anzi, al contrario li aumenta in modo esponenziale, facendoci perdere la ragione. Senza contare che è troppo facile e troppo misero fuggire da tutto ciò che ci circonda per rifugiarci nella comfort zone derivante dal rassicurante anonimato della rete. Purtroppo però i social network sono il posto peggiore che si possa pensare quando si parla di rapporti umani.
Lo schifo si raggiunge ogni qual volta ci si ritrova a fingere interesse per le attività altrui, consapevoli del nulla che ce ne frega, solo perché pensiamo di poterne avere un ritorno a nostro favore. Ristagnare in questa palude di “pompini a vicenda” è quanto di più squallido possa esistere. Facciamo schifo ma non abbiamo il coraggio di dirlo nemmeno a noi stessi. Quello che conta è l’aver finalmente trovato il modo per emergere. E poco importa se siamo all’interno di un contesto che fino a ieri schifavamo, probabilmente a giusta ragione.
È qui che torna la distanza sulla percezione di noi stessi di cui parlavamo in apertura, e sulla necessità di lasciarla agli altri. Ma non ai presunti “altri” di internet, che non esistono, bensì a tutti coloro con cui giocoforza siamo costretti ad interagire sul serio, ogni giorno. Ma si tratta di un processo tutt’altro che immediato che si scontra con la velocità della rete che non può mettere in conto tempi dilatati. Per cui, quale migliore soluzione che quella dell’inganno derivante dalla distanza e dal gelo dell’anonimato di un rapporto virtuale?
Tutto potrebbe anche chiudersi qui, ma sarebbe un’analisi incompleta che non tiene conto della diagnosi finale che ci appare chiarissima. Siamo una società estremamente narcisistica. E la costante che la caratterizza è l’assenza di una diagnosi ufficiale e certificata. Siamo una società patologica ma non abbiamo ancora incontrato nessuno che ne lo abbia detto in modo forte e chiaro.
Gli spazi online dove tutti quanti noi, più o meno ci ritroviamo, sono saturi di “artisti” che esaltano le proprie capacità ben oltre l’ effettivo valore, che millantano talenti inesistenti, offuscati da manie di protagonismo frutto di un egocentrismo senza fine. Ogni manifestazione di questa presunta arte impone sempre e comunque la necessità di avere un riscontro evidente che si sostanzia nella doverosa gratificazione dei nostri “amici”. Il problema più grave però risiede nella nostra incapacità di riconoscere e di percepire i bisogni e i meriti altrui, troppo presi dalla nostra vena esibizionistica, che ci porta a considerare gli altri solo come vettore per raggiungere i nostri scopi o per ingrandire il nostro ego. Non possiamo più negare che questo tipo di atteggiamenti basati su un interesse fittizio sia individuabile come il carburante necessario per far brillare il nostro autocompiacimento.
La totale carenza di ogni forma di empatia è il centro del mondo che ci siamo costruiti, e che difendiamo strenuamente da un assalto che non esiste. A nessuno frega di assalire le mura del nostro castello, perché fondamentalmente a nessuno frega di noi. Così come noi non riusciamo a percepire l’esistenza e la validità dell’altro, al tempo stesso gli altri guardano a noi nello stesso modo. Siamo accumunati da una identica mancanza di sensibilità.
E non sarà e non potrà essere un “like” sui social network a pulire la nostra coscienza dalla totale assenza di empatia.
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