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Confessioni Di Una Maschera – Febbraio Duemilaventi Rebel Rebel

Si parla spesso di ribellione. Soprattutto in ambito musicale. Al punto che possiamo pensare di trovarci di fronte ad uno dei cliché che maggiormente hanno attecchito, e di conseguenza tra i più difficili da sradicare.

CONFESSIONI DI UNA MASCHERA

FEBBRAIO DUEMILAVENTI

“REBEL REBEL”

Si parla spesso di ribellione. Soprattutto in ambito musicale. Al punto che possiamo pensare di trovarci di fronte ad uno dei cliché che maggiormente hanno attecchito, e di conseguenza tra i più difficili da sradicare. Abbiamo appena visto nascere il secondo decennio di questi strani anni duemila, e mi viene di conseguenza natuarale chiedermi se abbia ancora senso, oggi, parlare di rivolta nelle “nostre” canzoni?

Dal momento che ho sempre creduto che ci debba necessariamente essere un legame tra ciò che suoniamo e ciò che cantiamo non posso non soffermarmi su questa riflessione che mi sento di dover allargare a tutti voi che state leggendo. Sono fermamente convinto che l’arte [e in questo caso la musica] necessiti di una condizione originaria di insoddisfazione per poter essere creata. Se guardo però a chi oggi ci invita alla rivolta tramite i propri dischi [o ancor peggio soltanto a parole, dal momento che realizza dischi totalmente scarichi di ogni velleità avanguardistico rivoluzionaria] non posso non chiedermi come tutto ciò sia possibile. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di figure che hanno da tempo smarrito le condizioni di base per potersi autoproclamare come moderni capi popolo. Dumas padre diceva che “L’arte ha bisogno di solitudine, miseria e passione. È un fiore di roccia che richiede il vento aspro e il terreno rude”. Se come me pensate che questa sia un’analisi ancora attuale, non potrete convenire con me sul fatto che oggi sia quanto meno difficile, anche solo pensare di associare questo pensiero con chi la rivolta l’ha dimenticata in nome di quel capitale che gridava di voler combattere.

Giusto una piccola digressione per spiegare meglio il mio concetto.

Nasce tutto con il punk. È lì che dobbiamo cercare l’origine della nostra lotta. È in quell’iconico millenovecentosettantasette che inizia a prendere forma l’idea che la rivolta musicale abbia un significato sociale profondo. Guardandoci indietro non possiamo non notare come l’ondata rivoluzionaria punk degli anni settanta si sia andata modificando attraverso le decadi successive. A partire dalla trasformazione nel metal estremo degli anni ottanta [col grindcore su tutto], per poi virare verso il grunge dei novanta [altro fenomeno prettamente punk come filosofia di base].

Contestualizzando il tutto ad oggi, credo di poter affermare come sia l’elettronica – più o meno industriale o più meno ambient – la nuova frontiera per i ribelli. Sono portato a pensare che ci sia realmente più di un legame ideologico con il movimento punk seminale, quello più nichilista ed intransigente e che l’elettronica abbia davvero tutto per potersi calare nel ruolo dirompente e tellurico che fu appannaggio del punk un tempo. A patto però. che ci si faccia carico del tipo di messaggio che vuole coinvogliare in modo coerente e contestuale, senza perdere di vista la sua provenienza “sociale”. Altrimenti diventa una presa per il culo di cui possiamo fare a meno. Se siamo noi stessi parte del “sistema” che vogliamo condannare il nostro intento perde ogni senso. Non ha ragione alcuna alienarsi da un qualcosa di cui siamo noi stessi espressione.

Dovendo cercare un limite credo che manchi in parte quella consapevolezza di poter interpretare un ruolo davvero importante. Manca l’aspetto legato alla sottocultura, allo scambio delle idee. Soprattutto per chi si affaccia al nuovo millennio senza un background ideologico figlio degli anni settanta ottanta. Oggi l’isolamento emozionale è una componente tanto scontata quanto imprescindibile per quelli che potremmo definire come i nostri figli aristici. Non siamo stati in grado di trasmettere loro quella spinta emotiva con la conseguente diluizione dell’ardore rivoluzionario, oggi più che mai anestetizzato e ormai prossimo all’annientamento.

Il punk [inteso come fenomeno socioculturale, non solo musicale] è da sempre identificabile con la provocazione. Non a caso siamo portati [io per primo] a farlo coincidere con l’Arte con la A maiuscola, quella che riesce cioè nel non facile intento di riuscire a portare elementi di chaos all’interno di un sistema socioculturale in cui vige l’ordine perfetto. Nasce cinquant’anni fa cercando di riunire tutto ciò che rifiuta l’omologazione, il controllo e la castrazione delle idee che da un punto di vista sociale mass media e religioni impongono. Attecchendo anche qui, nel “bel paese”, dove i giovani ribelli dell’epoca si lasciarono sedurre dal suo lato più sociopolitico. La componente ideologica, anticommerciale ed anticonformista trovò sfogo non solo da un [facile] punto di vista estetico, ma anche e soprattutto nelle parole cantate di chi ha davvero combattè “il sistema”.

Oggi quelli stessi ribelli però hanno un’età anagrafica “importante” e [ancor peggio] molti di loro sono riusciti nella non facile impresa di aderire ai dettami di quel modello che condannavano. A questo punto non posso non pormi un’altra scomdoda domanda: perchè costoro continuano, dal loro pulpito privilegiato, a farci credere che la loro sia ancora una “lotta continua”? Per chè non contestualizzano il loro quieto vivere con posizioni meno intransigenti e più vicine al loro essere?

In chiusura, prima di annoiarvi ulteriormente coi miei deliri, mi rivolgo a voi che siete figli di questo nuovo millennio. Se davvero siete e vi sentite punk [dentro], ribellatevi. Ma fatelo alla svelta, rivendicando il vostro ruolo, anche alla faccia di figure noiose e staitiche come quella del sottoscritto. Sovvertite l’ordine. Che cosa state aspettando? Non accontentatevi di quello che vi diamo, prendetevi tutto.

GENNAIO DUEMILAVENTI “IL RE E’ NUDO”

 

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2 risposte

  1. Non ritengo che la cosiddetta elettronica abbia le carte in regola per essere il nuovo punk, la musica dell’era digitale si rivolge alla mente non al corpo. Inoltre non so se il punk si possa e si voglia definire arte anche se indubbiamente in alcuni aspetti lo è. Per quello che riguarda il ribellismo non dimentichiamo che il punk è nato nel sistema, solo dopo con l’hardcore si è iniziato a parlare di autoproduzione, autogestione, etichette indipendenti ecc… Certo il bilancio è quello che è come sottolineato nell’articolo, only entertainment per dirla con i Bad Religion. Sta a noi tornare a dare la giusta dimensione alle cose e pensare con meno enfasi a quel periodo. Perché non abbiamo più bisogno di ribelli ma di rivoluzionari.

  2. “non abbiamo più bisogno di ribelli ma di rivoluzionari” è un’ottima conclusione. l’intento del mio pezzo era quello di capire quale possa essere la colonna sonora di questa ipotetica rivoluzione. contestualizzando i tempi post industriali che stiamo vivendo ho pensato [e tutt’ora penso] che i suoni “moderni” ed algidi dell’elettronica possano essere i più adatti.

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