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Confessioni Di Una Maschera – Gennaio Duemilaventidue “game Over”

La nebbia che in questi primi giorni dell'anno è inaspettatamente calata sul Granducato è l'immagine perfetta per descrivere la situazione sociale sempre più triste in cui ci siamo insabbiati.

La nebbia che in questi primi giorni dell’anno è inaspettatamente calata sul Granducato è l’immagine perfetta per descrivere la situazione sociale sempre più triste in cui ci siamo insabbiati. E poco conta se per uno come me che ha sempre fuggito la luce e la “joie de vivre” questi siano i giorni più belli dell’anno intero. Il problema del non riuscire a vedere a pochi metri dal naso è quanto mai reale, e molto più esteso di quanto pensassi.

Tra le tante, inattese, conseguenze pandemiche, c’è sicuramente la perdita di ogni inibizione, che ha portato a mostrarci per quello che siamo sul serio. Sono lontani i tempi in cui “ci facevamo belli online” con atteggiamenti aggraziati, seducenti e rispettosi dell’altrui pensare. Tutto questo non esiste più. La maschera è stata gettata, ora siamo esattamente quello che siamo sempre stati. L’unica differenza è che non abbiamo più filtri tra noi, il nostro essere, il nostro pensare, la nostra spocchia e il resto del mondo. La recita è finita, il sipario è stato chiuso e siamo da soli con noi stessi.

La totale incapacità di accettare non dico le critiche, ma anche solo l’idea che qualcuno possa dissentire da quella che consideriamo l’inoppugnabile ed unica verità è il primo punto di questa prima confessione dell’anno. C’è tutto l’isterismo di chi non riesce a capire che nel momento in cui propone ad altri un qualunque contenuto, esiste la possibilità che questi “altri” abbiano idee difformi sulla questione in oggetto. Io, quando propongo qualcosa che mi riguarda strettamente, ed è quindi legato alle mie attività con cui alieno la noia dalle mie giornate, parto sempre dal presupposto che verrà tutto ridimensionato una volta che avrà varcato i confini del mio spazio vitale. E non lo faccio per mascherare una falsa modestia, ma perché mi rendo perfettamente conto che manca in me, in quanto parte in causa, sia l’obiettività che la giusta distanza per capire quello che sia il reale valore delle cose. Si chiama onestà intellettuale e ne siamo purtroppo privi in molti.

In linea con questo atteggiamento supponente c’è l’impossibilità di restare al di fuori dagli schieramenti dicotomici cui da sempre siamo abituati e che nel corso degli anni si sono costantemente succeduti pur se con nomi differenti. Oggi con le inconciliabili posizioni pro e contro vaccinali (ma non solo, c’è un mondo che gira intorno a questa semplicistica divisione in buoni e cattivi come abbiamo avuto modo di approfondire in passato) tutto è andato estremizzandosi ben oltre la soglia di una smarrita ragionevolezza. Sembra diventato impossibile avere un’idea propria che esuli da quella divisione medievaleggiante tra guelfi e ghibellini che negli anni si è trasformata in mille altre “rivalità”. Fino ad arrivare appunto a questa ultima divisione che tra le tante pare la più insanabile. Non so se perché la percepiamo come contestuale a questo nostro scritto o perché la pandemia con le inevitabili chiusure (fisiche e mentali) ha determinato una ridotta tolleranza. Sta di fatto che se oggi proviamo a guardare non solo al futuro ma restiamo sul presente non c’è un solo segnale che possa far pensare che qualcosa s muova in direzione di un abbassamento dei toni, di una mediazione, di un allentamento della rigidità delle posizioni.

La mia malcelata manifesta difficoltà deriva dal fatto che sono da sempre portato a cercare un pensiero “mio” che esuli dai dogmatismi, siano essi politici, religiosi o di qualunque altro ambito. E questa mia necessità inalienabile mi porta ad essere schiavo di un’indipendenza ideologica che coincide con l’esclusione sociale. Se nella prima parte si parlava di incapacità ad accettare un pensiero “diverso” qui siamo alle prese con una dinamica assolutamente sovrapponibile. Non esistono posizioni intermedie che non siano le due previste dalla disputa in atto tra “provax” e “novax” (termini abominevoli ma che riporto proprio per provare a ragionare partendo da quelli che sembrano dettagli secondari ma che non lo sono affatto). Viene a mancare la capacità di capire che l’unica disputa che sta andando in scena è quella tra noi e la nostra intelligenza. La strada è quella di smarcarci da questa idiota visione dicotomica della realtà, che non fa altro che portarci esattamente laddove non serve l’intelligenza. Dove non esistono margini di crescita interiore, di analisi, di obiettività, di giustizia sociale. Dove c’è solo lo scontro ideologico fine a se stesso.

Guardando alla foga con cui ci si rincorre quotidianamente partendo come detto da posizioni inconciliabili, non vedo alcun segnale che possa far pensare a un’inversione di rotta. Stando così le cose prima o poi arriveremo ad una situazione di stallo in cui dovrà per forza di cose esserci un innalzamento del livello della lotta. Io è esattamente lì che vi aspetto, per vedere se e come si andrà avanti. Se finalmente i rivoluzionari 2.0 che fanno di internet la loro palestra di ardimento passeranno all’azione come minacciano da tempo. O se sarà tutto l’ennesimo bluff all’italiana.

Io non sono tra quelli che pensa che esista un disegno occulto che dopo aver volutamente creato la pandemia la stia pilotando secondo un disegno prestabilito. Sono invece dell’idea che la nostra incapacità di guardare oltre questa visione parziale che ci siamo fatti pigramente piacere ci impedisca di guardare alle cose per quello che sono davvero. Il quadro globale dal mio punto di vista esula dalla pandemia in atto, ed è raffigurabile nella crisi sociale, ancor prima che sanitaria ed economica, cui siamo soggetti da diversi anni, ma che oggi presi dagli odi di partito sembriamo esserci dimenticati. La pandemia ci ha chiuso gli occhi sulle altre questioni di vitale importanza senza che provassimo a tenerli aperti.

Abbiamo permesso alla nostra componente meno critica di andare a cavalcare l’onda di una battaglia che non ha senso, tralasciando quelle che sono davvero importanti e che pandemia o no, non dobbiamo dimenticare. Ed è qui, in questa ottusità sociale dilagante, che torna prepotentemente l’argomento introduttivo di questa “confessione”. L’incapacità di percepire come reale l’esistenza di un’alternativa a quella che abbiamo preventivamente sancito come l’unica chiave di lettura possibile. A noi piace ragionare sulle idee non sui fatti o ancor peggio sulle persone. E l’idea che qualcuno non capisca che ci si possa dissentire da quella che per noi è una dogmatica e rigorosa visione del nostro “creato” è drammaticamente avvilente. Non si può pensare che tutto quello che esiste sia intellegibile in una univoca interpretazione.

Quello che per noi è chiarissimo per gli altri può tranquillamente essere ridicolo o grottesco quanto non del tutto inutile. Capiamo che specchiarsi con convinzione in quello che si realizza sia il modo migliore (quando non l’unico) per farsi forza, ma occorre capire che ci sono visioni distanti dalle nostre (non giuste o sbagliate, semplicemente distanti, diverse, dissonanti) e che dobbiamo saperle accettare. Altrimenti se pensiamo di fare tutto bene e che le critiche oltre a non essere gradite siano anche gratuite, lasciamo stare il confronto con i nostri pari e chiudiamoci nell’ermetica casetta di pane che ci siamo costruiti giorno dopo giorno, convinti che gli altri siano solo invidiosi e irrispettosi.

Sta di fatto che guardando a entrambe le dinamiche l’essere umano ne esce ancora una volta a pezzi. E che con queste mentalità retrograde non ci possa essere speranza alcuna di crescita individuale prima e collettiva a seguire. Game over anche questa volta.

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Una risposta

  1. Che gioia poter finalmente leggere parole nelle quali riconoscersi. In tempi come questi è essenziale sapere di non essere soli, che c’è una “via terza” , battuta da coloro che hanno ancora la capacità di affrontare le complesse dinamiche della nostra esistenza.

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