CONFESSIONI DI UNA MASCHERA
GIUGNO DUEMILAVENTI
“ABUSI IN DIVISA”
Si è molto parlato in questi giorni del caso di George Floyd, il cittadino statunitense brutalmente ucciso da un agente di polizia nelle strade di Minneapolis.
Al punto che sono stato fortemente indeciso se partecipare o meno al coro di voci che si è giustamente levato dopo il fatto. Alla fine ho deciso che il [mio] silenzio avrebbe rappresentato una sorta di avallo a ciò che è successo e mi sono deciso a scrivere alcune riflessioni su quanto accaduto.
Ci tengo però a precisare sin da subito che la mia intenzione è quella di spostare il tiro da tutto ciò che sta animando le piazze del mondo in questi giorni. Non discuto ovviamente il valore delle sacrosante manifestazioni che stanno riempiendo le strade, penso però di non essere d’accordo nel sposare la causa o meglio la direzione intrapresa, fino in fondo.
A me piacerebbe vivere in una società dove la pigmentazione epidermica non rappresenta una “diversità”. Una società dove nessuno si accorge che i due attori di questa tragica recita non hanno il medesimo colore della pelle, perché il colore della pelle non è un fattore di cui tenere conto.
Dove sia assodato poter differire etnicamente senza destare sospetto, malumore o astio.
É quindi per questo che sono portato a vedere l’omicidio di George Floyd come un abuso di potere da parte della polizia statunitense e non come un crimine razziale. Non fraintendete. La mia è una posizione chiarissima, ma necessita di uno sforzo di adattamento mentale. Io, quando guardo le immagini della tragedia, non vedo due persone di colore diverso. Vedo due esseri umani che si fronteggiano in modo impari. Vedo quello armato e con la divisa che uccide quello indifeso e disarmato dopo averlo ammanettato.
Se poi, questo secondo che soccombe, ha un colore diverso dall’altro e fa parte di una etnia da sempre bersagliata in ogni modo possibile, questa può essere un’aggravante, ma resta il fatto che il crimine è secondo il mio “folle” punto di vista da ascrivere nel fascicolo degli abusi da parte delle forze dell’ordine.
La mia utopica visione del mondo non prevede la suddivisione in categorie etniche. È un qualcosa di inammissibile. Siamo tutti sulla stessa barca che sta affondando. Non ci sono e non ci possono essere divisioni tra caucasici ed afroamericani, asiatici e ispanici centro americani.
Capisco benissimo che il mio punto di vista possa risultare decisamente “estremo”, ma sono anche convinto che se provassimo a ragionare in funzione si un’unica etnia, quella “umana” riusciremmo a sconfiggere quel disgustoso pregiudizio razziale che gli Stati Uniti [ma non solo loro] continuano a tenere vivo nonostante il passare del tempo e delle generazioni.
Derek Michael Chauvin, il poliziotto che ha arbitrariamente ucciso George Floyd, riesce incredibilmente ad indossare una doppia veste. Da un lato, come detto, è l’ennesimo esempio di come gli abusi in divisa non conoscano latitudine, dall’altro rimarca ulteriormente come il problema razziale sia ancora estremamente radicato nei modernissimi e democraticissimi USA.
Dal momento però, che, come detto, G.Floyd è un uomo che è stato ucciso da un altro uomo che aveva il compito, per dirla come loro, di “servire e proteggere”, io punterei su questo aspetto prima che sul discorso razziale. Nel momento in cui chi deve “garantire l’ordine” si arroga il diritto di vita o di morte dei cittadini c’è qualcosa che non funziona davvero.
Per fortuna ci sono associazioni come la nostra ACAD – Associazione Contro gli Abusi in Divisa, la onlus che monitora constantemente la situazione del comportamento delle forze dell’ordine e che mantiene alta l’attenzione su fatti che altrimenti l’opinione pubblica grazie all’oblio dei mezzi di comunicazione tende a minimizzare o a nascondere.
In merito all’omicidio di G.Floyd questo è il comunicato di ACAD:
Noi ci saremo. Anche in Italia, nelle piazze e per le strade, questo fine settimana si terranno numerose manifestazioni in solidarietà alle rivolte che stanno incendiando l’ America a seguito dell’omicidio di George Floyd, un uomo di origine afroamericana, l’ennesima vittima della violenza dei poliziotti bianchi.
Ci saremo per denunciare quelli che sono i veri terroristi, coloro che, in America come in tutto il mondo, soffocano e torturano migliaia di afroamericani e latini ogni anno, instillando terrore e sfinimento in chi resta.
Ci saremo per i tanti abusi di “casa nostra” dove lo Stato tortura e uccide ogni giorno. Scenderemo in piazza a manifestare ancora una volta lo sdegno per quelle che sono state le vittime del sistema di abusi da parte delle forze dell’ordine anche qui in Italia e per ricordare a tutti quanto la violenza della repressione contro il diverso e contro chi lotta sia una pratica endemica e culturale, alla base del marciume che caratterizza il sistema del controllo sociale di Stato.
Parole che non possono non essere condivise in toto, e che riportano alla mente tutti quegli abusi terminati tragicamente che siamo abituati a ricordare solo nelle date delle loro ricorrenze. Chi non ricorda le figure di Aldrovandi, Cucchi, Uva, Magherini e Sandri, giusto per citare i primi che mi vengono in mente. Ma non basta ricordarli un giorno all’anno. Abbiamo tutti oscurato la nostra pagina Instagram per un giorno per far sentire il grido della nostra protesta [silenziosa…]. Bello, lodevole [e facile] ma non basta. Occorre sostenere concretamente associazioni come ACAD che fanno della ricerca della “giustizia” il proprio credo quotidiano.
Non basta lavarsi la coscienza un giorno con un gesto facile come quello del #BlackoutTuesday su Instagram. Occorre restare sul pezzo sempre, fino a che anche l’ultimo dei nostri simili non avrà ottenuto giustizia, indipendentemente dal colore della propria pelle.
Anche perchè, per cambiare radicalmente il fattore culturale che esenta le forze dell’ordine dalla responsabilità dei propri gesti, bisogna andare oltre e smantellare quell’omertà che permette l’impunità di chi indossa una divisa.
Negli Stati Uniti il poliziotto che ha ucciso G.Floyd è stato licenziato e dovrà affrontare il processo da libero cittadino. Qui da noi chi ha ucciso in divisa è andato [quando raramente è accaduto] a processo con l’alta uniforme ancora addosso e il pieno sostegno delle forze dell’ordine. Con tutte le conseguenze, anzi con tutti i privilegi del caso.
Fate un giro sulle pagine di ACAD, documentatevi sui casi che vi sono riportati e a lettura terminata converrete con me che nessuno di noi può dirsi al sicuro finché tali comportamenti saranno tollerati.
Può succedere ad ognuno di noi, in qualunque momento, anche durante un semplice controllo ad un posto di blocco. Anche tra cinque minuti quando avrete chiuso il computer dandomi del folle e preso l’auto per andare dove vi pare. Nessuno è al sicuro da chi dice di volerci mantenere al sicuro.
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