CONFESSIONI DI UNA MASCHERA
MAGGIO DUEMILAVENTI
“Changes”
David Bowie [“Hunky Dory” 1971]
Basta poco a volte per fare felici le persone. Ci sono gesti semplici che racchiudono un’importanza enorme, soprattutto per chi li riceve. Attenzioni quasi impercettibili che spostano gli equilibri e cambiano le prospettive in modo inatteso e per alcuni versi definitivo.
Potremmo aprire una filippica infinita sulla felicità altrui e sull’invidia non solo sociale. Ma non è questo il momento di addentrarci in un impiccio da cui uscire non sarebbe né facile né immediato. Mi riprometto però di tornare quanto prima sull’argomento.
Ciò che oggi mi preme sottolineare è come l’emergenza sanitaria da Covid-19 abbia aumentato la forbice socioculturale tra le persone. Sono [purtroppo] aumentate le distanze, e non solo quelle fisiche, ma anche e soprattutto quelle figurate. Si è ampliato il distacco emozionale tra chi auspicava [e forse ancora auspica nonostante i pessimi segnali] un miglioramento interpersonale e chi ha invece “remato in senso contrario”.
La mia esperienza mi aveva portato inizialmente a tendere verso un’utopica ribellione allo stato mentale cui eravamo stati assoggettati, spinto da un sentire comune al mio microcosmo lavorativo ospedaliero. Situazione che si è tutt’ora mantenuta e che non mostra segni di instabilità. Il problema è nato nel momento in cui mi sono dovuto confrontare con il resto della società. Sia fisica che virtuale.
L’individualismo che speravo potesse essere sepolto sotto le macerie del virus è ancora molto forte. Ha saputo mutare e mantenere il proprio predominio. Ci sarebbero decine e decine di esempi calzanti che potrei citare, ma mi fermo soltanto a quello che è il mio sentire musicalmente parlando.
La maggior parte [se non la stragrande maggioranza] di tutti coloro che hanno interagito con me in questi anni per via di Toten Schwan Records e/o del Tritacarne conoscono perfettamente la mia situazione lavorativa ospedaliera. Non l’ho mai nascosta, con nessuno. Ho sempre cercato di dare di me quanti più elementi possibili nel momento in cui abbiamo costruito i rapporti, consapevole e certo che dalla trasparenza a tutti i livelli possano nascere unioni durature e sincere.
Mi ritrovo tristemente oggi a dover contare un ristretto numero di persone che in questi due mesi abbondanti di epidemia si siano fatte avanti non per propormi un loro disco ma un semplice “come stai?”.
Sapendo che sia io che mia moglie siamo a diretto contatto con l’infezione visto il nostro lavoro queste due semplici parole avrebbero azzerato mesi di silenzio e di distanza, facendoci sentire meno soli in questa nostra esperienza. Avrebbero potuto fare la differenza, ma non l’hanno fatta. E questa cosa me la porterò inevitabilmente dietro.
Forse l’errore è mio. Sono io troppo sentimentale a pensare che ci possano essere dei rapporti che vanno oltre la convenienza reciproca. Che le persone non siano poi così materiali come le descrivono. Che ci si possa specchiare nella felicità altrui. L’errore vero è stato a pensarci bene, aspettarmi qualcosa da qualcuno. Sono stato un ingenuo, lo ammetto.
O forse siamo soltanto peggiorati. Facendoci fagocitare dalla smania di protagonismo e dall’assenza di empatia. Guardando solo laddove potevamo raggranellare qualcosa. Non si fa niente per niente.
È ovvio che quando arriverà quel domani che prima o poi deve sorgere [ma che è ancora ben più lontano di quanto si pensi] non potrò non tenere conto di tutto questo. Non per una rivalsa o una ripicca. Non è da me cadere così in basso. È vero però che tutto ciò che non ci uccide lascia una cicatrice in noi. E alcune cicatrici rischiano di essere più evidenti di altre.
Come detto in apertura basta poco, pochissimo. Ma bisogna volerlo.
Non sono una persona rancorosa. E non lo voglio diventare oggi, ma è innegabile che i rapporti si costruiscono in modo bidirezionale. Non univoco. Come è vero che ognuno ha i suoi cazzi a cui pensare. Giustissimo. Ci mancherebbe altro. È altrettanto ovvio che se ci vogliono acqua e sole per far fiorire una pianta nel momento in cui viene a mancare uno degli elementi la pianta muore.
Ho fatto di Toten Schwan e del suo percorso un qualcosa che andasse oltre il rapporto tra chi fa un disco e chi lo produce. Ho pensato di poter creare un rapporto a suo modo unico con chiunque ho interagito in questo senso. Spesso ho fatto uscire dischi per il piacere di sublimare rapporti di “amicizia” senza badare alla vendibilità e alla commercialità del prodotto. Per questo mi aspettavo un certo tipo di riscontro.
Il tempo dirà se sono un coglione o un gentiluomo.
È fin troppo ovvio che al momento mi senta più il primo che non il secondo. Anche se spero che arrivi un giorno in cui le prospettive possano essere invertite. Anche perché ho ricevuto per contro un sacco di attestati di stima e vicinanza da persone che non mi sarei mai aspettato, spesso appena incrociate ma che sopratttutto non avevano e non hanno motivo di farmi sentire la loro vicinanza se non per un semplice spirito di “fratellanza”. Gente che non ha ambizioni discografiche.
Se davvero il mondo musicale deve ripartire che riparta con un nuovo spirito. Quello che si porta dietro da questa “quarantena” è davvero pessimo.