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::confessioni di una maschera:: Neuropa – Gennaio MMXXV

Abbiamo sbagliato tutto. O quasi. Quello in cui credevamo, è da tempo andato scemando, un pezzo alla volta. E con esso, le poche, ma granitiche certezze, intorno a cui stavamo ricostruendo il nostro pensiero. L’unica cosa che ci resta è l’idea di poterci ancora guardare allo specchio, raccontandoci che quelli che vediamo non siamo noi. Ma l’immagine riflessa, e distorta, delle nostre idee.

Diciamocelo. Chiaramente, per una volta. Le cose non stanno come ci piace pensare. Tutt’altro. Siamo un corpo estraneo in seno all’Europa. Questo è innegabile. Se poi, ci piace mentire a noi stessi, beh, allora vale veramente tutto, possiamo anche credere alla verginità della madonna.

Sono passati pochi mesi da quando, proprio su queste pagine, abbiamo scritto in merito alla nostra collocazione socio-politica. L’avevamo fatta coincidere con l’ipotetica “altra sponda” di questo immenso lago che siamo soliti chiamare Mar Mediterraneo. Niente da fare. Ci stavamo sbagliando. Noi non c’entriamo un cazzo nemmeno con il Nord Africa. Coi paesi del Maghreb abbiamo meno in comune di quanto pensassimo. Citandoli in rigoroso ordine alfabetico – Algeria, Egitto, Libia, Marocco, Mauritania e Tunisia sono una spanna e oltre avanti a noi. La loro dignità è un qualcosa che ancora non ci appartiene, e che, forse, non ci apparterrà mai.

Siamo un qualcosa di indefinito, e di indefinibile. Un paese talmente grottesco che a volte ci fa pensare che, forse, nemmeno esistiamo, e che siamo all’interno di un gioco di ruolo, dove veramente tutto è possibile. C’è anche chi dice che siamo una propaggine dell’America Latina, per tutta una serie di assonanze, e, non ultima, la presenza in loco di numerose enclave italiane sin dai primi anni del secolo scorso.

Quello che invece, secondo noi, ci accomuna ai “latinos” è l’idea, figlia di un cattolicesimo esasperato, che ci si debba, sempre e comunque, confrontare con quel “peccato originale” da cui tutto trae origine. Siamo due entità che sono assuefatte alla dominazione e alla sottomissione della Chiesa, infilatasi in ogni pertugio possibile, con l’intento di condizionare ogni nostro pensiero, ogni nostra azione, ogni nostro intendimento. Si parla in questi giorni di possibili ritorni di fantomatiche dittature, forse del tutto mai andatasene, ma non ci si rende conto che la dittatura vera, quella cristiano cattolica, è ancora fortemente radicata nel nostro disastrato paese. Una dittatura che, come da tradizione oscurantista, e in nome di un dogmatismo ottuso, individua come il male assoluto, tutto quello “di buono” che cerchiamo di mettere in atto.

L’altro grande legame (oltre al calcio, ma questa è un’altra storia, che, per ora, lasciamo perdere) è il fatto di essere storicamente governati da discutibili figure istrioniche arrivate al potere per vie traverse, e lì inchiodati, grazie ad una serie di accordi che, in un modo o nell’altro rivelano dietro le quinte la scomoda, onnipresente e ingombrante, ma soprattutto (per noi) sgraditissima figura rappresentata dagli Stati Uniti. Sia noi che loro viviamo in paesi che fanno dell’ingovernabilità e della corruzione il proprio punto fermo. Anche se questo però finisce per riportarci al discorso di cui sopra. E ci sposta nuovamente verso il Maghreb, culla di dinamiche sovrapponibili in questo senso.

Alla fine siamo veramente un crogiolo di etnie che vivono e pensano sostanzialmente allo stesso modo. E chi pensa di giocare sulle (ovvie) distanze per separarci e su questo lucrare, è destinato a fallire, anche se non nell’immediato, come vorremmo.

Queste le affinità. Ma ci va decisamente peggio per quello che riguarda le divergenze. A noi manca il fermento che caratterizza i popoli di cui sopra. Loro sono da sempre in continua e costante agitazione, mossi dalla voglia di andare ricercare quella che è la loro dimensione reale, effettiva. Una ricerca che guarda a un qualcosa che, ad oggi, nemmeno loro sono in grado di individuare, ancor prima che perseguire.

Se noi ci indigniamo sui social network, e, crediamo che, con un post di denuncia infarcito di grida isteriche, pensiamo di fare la rivoluzione, (senza però, poi essere minimamente in grado di darvi un seguito concreto) significa che non ci rendiamo nemmeno conto di cosa significhi ribellarsi. Ci fermiamo ai tre minuti necessari per una condivisone online, per poi tornare a fare esattamente quello che stavamo facendo poco prima. Il Nord Africa e il Sud America bruciano. Da anni. Senza che nessuno riesca a spegnere l’ardore dei loro popoli. La brace silente, ma mai del tutto soffocata, è prontissima a riaccendersi al primo refolo di vento che guardi alla giustizia sociale. E mentre nei cieli il fumo sale, noi restiamo alla finestra, ad aspettare l’arrivo dei pompieri, in nome di una nostra presunta, e supponente, superiorità culturale, con cui rimarchiamo il nostro distacco, e bolliamo le loro gesta come quelle di popoli incivili.

Siamo convinti di far parte di un’élite europea, quasi aristocratica, mentre invece, se guardassimo davvero alle cose con l’occhio sincero di un osservatore neutrale, capiremmo che l’Europa, quella del Nord, quella che non saremo mai in grado di eguagliare, ci caga in testa, e non solo metaforicamente.

Siamo il meridione del continente, e come tutti i Sud del mondo siamo in una posizione di rincalzo, derisi, discriminati ed esclusi dai salotti che contano. Farcene una ragione ci aiuterebbe a raggiungere il primo stadio del processo, la fase dell’accettazione e della consapevolezza. Ma dubitiamo fortemente di esserne in grado.

 

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