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Confessioni di una maschera “Rock the vote”

Come ci accade costantemente negli ultimi trent’anni, da quando cioè la politica è diventata una dicotomica scelta, quasi plebiscitaria, tra chi stava con il magnate brianzolo, e chi stava contro, tagliando sistematicamente fuori ogni altra visione sociale del paese, abbiamo disertato le urne.

Confessioni di una maschera “Rock the vote” elezioni

Confessioni di una maschera “Rock the vote”

Abbiamo finalmente archiviato il passaggio elettorale. In maniera del tutto indolore per quello che ci riguarda. Non avevamo aspettative. Non le abbiamo forse mai avute. Meno che mai ultimamente. La politica italiana, quella fatta del circo mediatico parlamentare che le televisioni e le radio ci infilano in casa ad ogni ora del giorno, fa parte di un crogiolo di squallore cui non apparteniamo. Ce ne siamo chiamati fuori definitivamente, in nome di quel poco di amor proprio che ci resta.

Come ci accade costantemente negli ultimi trent’anni, da quando cioè la politica è diventata una dicotomica scelta, quasi plebiscitaria, tra chi stava con il magnate brianzolo, e chi stava contro, tagliando sistematicamente fuori ogni altra visione sociale del paese, abbiamo disertato le urne. Mandando in culo tutti gli strilloni che cercavano di dipingere la tornata elettorale come un evento epocale imprescindibile.

Non abbiamo mai creduto alla minaccia fascista. Anche perché se il fascismo è quello della borgatara che ha vinto le elezioni possiamo dormire sonni tranquilli. Il fascismo, purtroppo, è cosa ben più seria e pericolosa del trio che ha preso la maggioranza dei consensi. Basta chiedere ai nostri nonni. Loro sì che hanno visto il male in persona. Le nostre a confronto sono cazzate amplificate dai mass media. E poi, alla fine dei conti, se proprio dobbiamo farci qualche anno di governo di destra, che sarà mai. Consideriamolo come la febbre, deve fare il suo corso e poi ci lascia gli anticorpi.

Detto questo, al tempo stesso, non abbiamo mai preso in considerazione l’idea di votare il meno peggio, sempre in nome di uno spauracchio che potesse minare la libertà e gli altri diritti che ci hanno detto essere in pericolo. Siamo stufi di guardare al meno peggio, vogliamo tornare a guardare a quello che ci interessa e in cui crediamo, indipendentemente da quelle che possono essere le intenzioni e le idee altrui. Io non voglio votare contro, ma a favore.

La situazione sociale attuale è tanto complessa quanto drammatica, e non sarà nessuno dei due schieramenti che si sono contesi la vittoria a cambiarla. Scegliere uno invece dell’altro non avrebbe cambiato niente da un punto di vista pratico. Così come poco o nulla cambierà per chi vive ai margini. I poveri resteranno poveri, e si amplierà la forbice che li divide dai benestanti. E se qualcosa dovesse davvero cambiare, sarà il frutto di imposizioni che arrivano da Bruxelles, non grazie a iniziative di questo o quello schieramento.

Sono trent’anni che lavoro in ambito sanitario. Ovvio che usi la mia esperienza di vita come cartina di tornasole per guardare alla situazione del nostro paese. È al mondo ospedaliero infatti che guardo nel momento in cui ascolto le intenzioni di voto e le promesse elettorali. Un mondo che ho visto sgretolarsi senza che nessuno abbia anche solo minimamente provato a fermare il declino.

Senza andare troppo lontano, e quindi limitandomi ai dati degli ultimi anni, provo a spiegare perché il mio sdegno copra l’intero arco costituzionale, nessuno escluso. Negli ultimi 10 anni sono stati chiusi oltre 100 ospedali e altrettanti presidi di Pronto Soccorso. In altre parole sono scomparsi oltre 37.000 posti letto. In minima parte riassorbiti dalla sanità privata. Ma non è tutto. Nonostante le assunzioni “in tempo reale” per l’emergenza pandemica, mancano ad oggi ancora quasi 30.000 unità tra medici (4000) e infermieri (26.000).

Potrei fermarmi qui, ma andiamo oltre, passiamo a parlare delle conseguenze, che non sono meno drammatiche dei numeri di cui sopra. La prima riguarda il tasso di mortalità che è ovviamente andato alle stelle. Inevitabile, dal momento che, mancando personale e posti letto, ci si cura peggio, più lentamente e più distante da casa. A meno che ovviamente non si paghi, rivolgendosi a strutture private.

Non è difficile capire che tutto parte dai tagli alla Sanità che negli ultimi 30 anni hanno sventrato un sistema sanitario tra i più efficienti sul pianeta. Poco o nulla c’entra la pandemia, eravamo comunque sulle ginocchia, in attesa dell’ultimo colpo che ci mettesse al tappeto. Saremmo comunque arrivati al dunque, indipendentemente da tutto. Magari più lentamente, ma saremmo andati KO in ogni caso. I nodi vengono sempre e comunque al pettine, basta (saper) aspettare.

Ma andiamo oltre.

Le riorganizzazioni dovute alla pandemia hanno determinato un impoverimento delle altre specialistiche, viste non più come prioritarie, a cui non stato poi garantito un rientro alle condizioni di partenza pre-pandemiche. Con la conseguenza che i cittadini sono stati costretti a guardare alla sanità privata, dato che i posti letto perduti negli ospedali pubblici sono stati rimpiazzati con quelli delle strutture private, soprattutto al nord. È proprio qui che sta il nocciolo della questione. Gli investimenti dei privati non sono andati a coprire le reali necessità sanitarie, ma tendono a spostarsi laddove c’è un più ampio margine di guadagno.

Come se non fosse tutto drammaticamente tragico così, andiamo ulteriormente avanti.

C’è un ulteriore problema. Le regioni non hanno adeguato i DRG, ovvero le remunerazioni per le attività ospedaliere, per cui, la tendenza attuale è quella di selezionare i ricoveri, a seconda del tipo di rimborso, più o meno vantaggioso per l’azienda sanitaria locale. In pratica non ti puoi più ammalare e se lo fai almeno scegli una patologia che abbia un buon rimborso. Che, restando in ambito economico, non riguarda gli stipendi del personale, che vedono la retribuzione mensile ancora inadeguata se rapportata al volume di responsabilità che ognuno di noi si fa carico quando inizia il turno di lavoro.

L’unico dato in controtendenza relativo al periodo del covid sta nel fatto che sono calati gli accessi al pronto soccorso, per la paura di contrarre il virus, segno che prima ci si recava in PS per qualunque cazzata, sottraendo tempo e risorse ai casi più impegnativi e severi.

Passando alle conclusioni viene inevitabile chiedersi per quanto tempo ancora potranno esistere e resistere le nostre ormai sempre più rare eccellenze sanitarie. Fino a quando cioè tutto questo potrà essere considerato sostenibile. Stiamo precipitando ma ancora non vediamo l’asfalto sotto di noi. Non sappiamo se per miopia o se davvero il punto di impatto sia realmente ancora distante.

Se, come detto, delegare tutto alle regioni possiamo individuarlo come il punto di non ritorno, a cui è bene ricordarlo quasi nessuno ha fatto obiezione in parlamento e fuori, troviamo che sia oggi ridicolo realizzare come si sia andata a creare una suddivisione del paese in zone di depressione sanitaria, da cui risulta inevitabile fuggire nella malaugurata situazione di dover avere bisogno di cure. Di pari passo è andata praticamente scomparendo quasi del tutto la prevenzione, a scapito di tutte quelle attività di cura che la realtà dei fatti evidenzia (purtroppo) come tardive, oltre che eccessivamente costose e inutili.

Siamo, in altre parole, alle prese con una sanità che si mostra sempre meno equa, meno pubblica e meno sostenibile. Risultato (ovvio) di un lento ma costante intervento volto a ridurre progressivamente i costi in ambito sanitario per far quadrare i bilanci.

E poi mi chiedono perché non vado a votare.

Nessuno negli ultimi 30 anni ha dimostrato di tenere davvero alla sanità. Lo dimostrano le politiche regionali, di qualunque colore esse siano (state), volte tutte indistintamente al medesimo obiettivo. Ma non solo, e qui chiudiamo, restando sul discorso “cromatico”, perché devono esistere solo due schieramenti a cui fare riferimento? Nel momento in cui non mi ritrovo in nessuno dei due, che faccio tiro la monetina per decidere?

 

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