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CONFESSIONI DI UNA MASCHERA ”Settembre Nero” IX MMXXIII

CONFESSIONI DI UNA MASCHERA

L’estate si sta dissolvendo, portandosi via quel poco di empatia che mi è rimasta. L’ho sempre voluta nascondere, per paura di mostrarmi, nudo, agli occhi avvelenati di tutti coloro che mi stanno intorno, in attesa di potermi assalire con le proprie richieste. Giocando proprio su questa mia disponibilità.

L’isolazionismo estivo, figlio di una canicola insopportabile, mi ha aiutato a riflettere su tutte le dinamiche che puntualmente si ripetono nel metaverso in cui vive e opera Toten Schwan. Nel dilaniarsi dei miei pensieri, schiacciato dal peso di una stagione che odio sempre di più, sono arrivato alla conclusione che, in quell’irreale realtà così fortemente digitalizzata, le cose siano diventate – per me – insostenibili.

Inevitabile quindi porre sempre maggiore distanza tra il mio [soprav]vivere e quegli ”inner circle” in cui tutti finiscono per sostenersi a vicenda, impossibilitati a rivelare la loro vera natura, pena la perdita dell’altrui sostegno. Circoli viziosi da cui ho sentito, forte, se non fortissima, la necessità di fuggire, in preda ad un’insostenibile intolleranza verso tutta questa finzione retta sull’opportunismo.

C’è un proliferare di esaltazioni collettive, si sprecano complimenti e si celebra l’avvento di almeno una ”the next big thing” al giorno. Questa la quotidianità di tutti quelli che – come direbbe Mr. Wolf – si fanno i pompini a vicenda. In pratica veniamo a sapere, bontà loro, che c’è un grandissimo numero di dischi di cui non potevamo fare a meno, che però poi nessuno ascolta, dato che la regola numero uno del #club è parlare bene di tutti, aprioristicamente, perché ”può sempre tornare comodo.”

Ovviamente, è bene non scordarlo mai, stiamo parlando di ”artisti”. Guai a non riconoscerli come tali. Questa, come potete ben capire, è la regola numero due del #club. ”Artisti” non persone.

La regola numero tre è la prima delle non scritte. Ed è la più importante, proprio perché non esplicitata. A nessuno interessano gli altri, se li tengono vicini finché servono, finché non arriva il momento di passare ad altro/altri. Punto e a capo.

Ecco, io di tutto questo non ho assolutamente bisogno.

Lì, in quei postriboli del dogmatismo, dove il dissenso non è ammesso, nasce, si sviluppa e prolifera quella morbosità deviata da cui voglio e devo emanciparmi.

L’altra grande questione su cui mi arrovello, in questi giorni di fine estate, verte intorno a Toten Schwan in maniera più diretta, e quindi – inevitabilmente – ancor più dolorosa. Come detto e scritto più volte in passato, c’è una grande e innegabile perversione che tende ad accomunare tutti coloro che gravitano online. Sono tutti in cerca di consensi e visibilità. A tutti i livelli e in ogni contesto. Soprattutto quello musicale. Non sono io che posso modificare le regole del gioco, mi sta bene. Posso però, per lo meno porre una domanda?

A me, chi mi considera?

C’è davvero qualcuno che mi avvicina per il piacere di farlo, senza esser mosso da un fine più o meno esplicito già in partenza?

Sono consapevole che, rappresentando un’etichetta, la maggior parte delle persone si rivolge a me nella speranza di una produzione. Ci sta. C’è un però, che considero tutt’altro che secondario.

Perché proprio Toten Schwan e non un’altra etichetta?

In altre parole, vieni da me in modo consapevole, e mirato oppure uno vale l’altro? Vuoi uscire con noi perché condividi le nostre idee, la nostra etica, e sei concettualmente legato a quello che proponiamo? Oppure, come si diceva poco sopra, sono i soldi quelli che cerchi, per cui che siano i miei o quelli di un’altra persona poco cambia?

Da anni cerco di far capire come Toten Schwan si regga – o almeno cerchi di farlo – sulle differenze, sulle distanze, sulla trasparenza, sui distinguo, non solo in ambito musicale, ma anche e soprattutto nella vita, nelle prese di posizione. Ogni nostra scelta ha alle spalle una ponderata valutazione. Ogni dinamica che si presenta mi mette in crisi, perché cerco di capire che cosa e/o dove possa portarmi. Ho sempre il terrore di quelle che possono essere le conseguenze delle mie scelte, soprattutto – e qui torna prepotente il mio lavoro a condizionare il mio pensiero – se vanno a toccare gli altri, se hanno effetti potenzialmente nocivi ai loro danni.

Per cui, da oggi, da questo ”settembre nero” in poi, credo sia inevitabile andare verso un new world order retto su una selezione che porti a sfoltire le figure con cui finora ho interagito. Non è più ammissibile ”vivere alla giornata”, occorrono visioni comuni che guardino a un domani che abbia qualcosa in grado di tenerci vicini. Il resto non mi interessa più.

Non ho il tempo dalla mia parte, e non intendo passare le giornate dietro a situazioni statiche, ”di plastica”. Il lavoro mi assorbe gran parte della giornata e delle energie, il resto del tempo – quello sottratto alla mia famiglia, per intenderci – decido io come passarlo, con quali ritmi, per cui, a tutti quelli che – anche involontariamente – mi stanno addosso non ho nulla da dire, se non che se vogliono far parte del nostro carrozzone, indipendentemente da quello che possa essere il motivo che li spinge a farlo – devono aspettare e rispettare i miei tempi. L’attesa è parte della vita, anzi ne occupa lo spazio più grande, occorre farsene una ragione. Se avete fretta, passate oltre. Non sentirò la vostra mancanza.

Mi piacerebbe avere la forza, la voglia e il tempo per venirvi incontro. In passato ho cercato spessissimo di farlo. Ora è cambiato tutto. E non per colpa vostra, non sono qui per fare la morale a nessuno. Sono io che ho ridistribuito e riequilibrato le priorità, mettendo al centro di tutto me stesso, e solo in un secondo momento Toten Schwan. Non posso, e non voglio essere al vostro servizio sempre e comunque. Ci sono e ci sarò alle mie condizioni, quando avrò soddisfatto tutte le altre priorità. Non mi sono stufato di fare dischi. Mi sono stufato che tutti chiedano senza dare nulla in cambio, senza capire che prima vengo io e poi vengono i loro dischi.

Non si tratta di una ”chiusura” totale, ma un invito a rivedere la considerazione che avete non solo nei miei confronti, ma verso le persone in generale. Siete, anzi siamo diventati troppo egoisti, troppo autoreferenziali, troppo egocentrici e molto poco disponibili verso gli altri, soprattutto se ”non ci servono” nell’immediato. Siamo nel pieno di un processo tutt’altro che breve – iniziato con la digitalizzazione – che sta dimostrandoci ora le sue prime conseguenze, un processo che abbiamo sottovalutato ma che è ben lontano dall’essere concluso.

 

 

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