Articolo precedente : Rigassificatore a Savona
Quale posizione, quali modalità, e quale lotta occorrono ed è giusto portare avanti?
Sicuramente spacciare come grande manifestazione quella proposta, con un “corteo” che si sviluppa per 200 metri, non fa bene al movimento che il 5 ottobre, giorno lavorativo e nel primo pomeriggio, ha raccolto un migliaio di presenze al presidio di fronte al palazzo della provincia. Con una manifestazione al sabato nel centro di Savona, si potrebbero attendere presenze cinque volte più numerose; non considerare il grande coinvolgimento popolare nella protesta o peggio sottovalutarlo è un grave errore, come errore è non pensare un vero corteo per le vie della città. Questa dovrebbe essere la visibilità per lo slancio e le istanze popolari che hanno caratterizzato gli ultimi mesi di organizzazione e impegno.
Non c’è alcun bisogno invece di testimonial che cavalcano la protesta per la visibilità che garantisce.
La volontà di non “arrecare disturbo” e insieme dare voce a chi la protesta ha inseguito non è il miglior modo per rapportarsi con la base dei cittadini, in particolare con coloro che sono riusciti con generosità e intelligenza a costruire iniziative molto partecipate. Ripensando agli ultimi sviluppi si potrebbe cogliere la volontà di smorzare la rabbia popolare per ridurre la protesta ad un mero dibattito a livello istituzionale, da parte di una politica che fin dall’inizio insegue la protesta senza mai riuscire a gestirla.
Nel recente passato sullo scenario italiano, altri grandi progetti inutili e distruttivi, sono stati occasione di sovraesposizione mediatica per diversi soggetti politici istituzionali mentre l’intento reale (non dichiarato) era una gestione del consenso e del dissenso popolare. Fine ultimo era il raggiungimento di compromessi che, risultando fittizi o dannosi per il contesto locale, nulla hanno portato a favore della tutela dei territori, dell’ambiente e delle comunità coinvolte.
La volontà determinata di impedire la realizzazione del progetto-rigassificatore non è una discussione da salotto, nè una competizione: ogni gruppo e ogni realtà deve seguire il percorso dettato dalle proprie sensibilità scegliendo le proprie modalità, mantenendo il fine comune; se si perde di vista questo, la protesta non porterà a nulla. L’esempio da seguire è ciò che da trent’anni accade il Val Susa col movimento No Tav.
Smorzare il fuoco della protesta fa comprendere il disamore verso la politica, politica identificata con opportunisti portatori di posizioni ambigue; politica che, col suo linguaggio fumoso, crea esclusione anziché inclusione; il rischio è che si debbano accettare decisioni già prese con scarse o nulle possibilità di critica o cambiamento. Necessariamente sono nati comitati civici che si dichiarano apartitici e, a volte (errando sul piano concettuale), apolitici intendendo lontani da queste modalità di gestione della politica, ormai screditate.
Come possano realtà che da sempre si battono concretamente per il territorio, per la salute e l’ambiente riuscire a collaborare con burocrati di partito lontani dalla realtà quotidiana rimane un mistero, forse un equivoco per la causa comune che, nel tempo, porterà inevitabilmente a diversificare percorsi ora condivisi.
ANEMOS