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Recensione : Contro Il Self Help Di Svend Brinkmann

In letteratura non vi sono solo romanzi, ma anche saggi critici: eccone uno davvero sagace e scritto in maniera schietta quanto ponderata a nome Svend Brinkmann, professore di Psicologia alla Aalborg University (Danimarca).

In letteratura non vi sono solo romanzi, ma anche saggi critici: eccone uno davvero sagace e scritto in maniera schietta quanto ponderata a nome Svend Brinkmann, professore di Psicologia alla Aalborg University (Danimarca).

Mr. Svend critica la nostra società del cambiamento, detta dell’accelerazione, in quanto si ravvisa in essa la forte, coatta tendenza a migliorare, a svilupparsi, ad essere potenzialmente competitivi, a bannare ogni incertezza del vivere a tremila Km/h adottando la religione del sé, inneggiando alle filosofie positiviste pur di non perdere lo slancio vitale in un mondo che punta costantemente al nuovo, in ambito lavorativo, tecnologico, organizzativo, e soggetto altresì, come sappiamo, a precoce obsolescenza e riassetto.

Per essere sempre smaglianti e avere successo, appunto stando al passo coi tempi dell’accelerazione, una pletora di coach, manuali dell’auto-aiuto, terapie di ricerca interiore del sé (ove dovrebbe risiedervi ogni soluzione ai problemi) sono a disposizione di coloro che avendo smarrito la strada, presi in castagna dalle mutevoli filosofie e mode, vedi lavoro, tempo libero, diete, benessere fisico, pubblicità – che stuzzica a martello il nostro ego e subconscio – stimolano a non farci perdere un appuntamento con il presente, rappresentando l’innovativo vangelo cui ubbidire.
Ma vivere avendo come riferimento se stessi e i propri desideri da acciuffare, i propri obiettivi, diventando sempre più performanti, sta degenerando in dipendenza, esattamente come quella da sigarette e da alcol; imperativo è adattarsi alle nuove tendenze forsennate facendo leva su se stessi, trovare nella propria interiorità la forza e l’energia onde ottimizzare il tempo e le competenze acquisite sia in campo lavorativo quanto nella sfera privata e sociale; però, ciò significa anche obbedire alle leggi del marketing, che rappresentano ormai la letteratura della nostra vita: esse ci espongono ed educano alle loro implicite strategie di vendita e ci predispongono all’asservimento lavorando per esse insistendo su politiche invasive e pervasive – ci convincono che dobbiamo proprio cavalcare l’onda del moderno a rischio di essere tacciati per vecchi e sorpassati matusa, che il mondo aspetta solo di essere conosciuto e vissuto senza sosta e in tutti i suoi aspetti (…del mercato).

Cosa dobbiamo fare quindi per seguire la spinta della modernità e risultare costantemente cool, trend, vip, positive & shining? Null’altro che mettere in gioco noi stessi e calarci nel pensiero positivista, del ‘tutto è possibile’, prediligendo la mobilità, considerando vecchio e fuori moda, zavorra, chiunque voglia mettere radici restando inevitabilmente immobile non aderendo a tali dettami.

Brinkmann, sconfessando la cultura del sé – manuali, coach, mindfulness, il dire sempre di sì – propone un antagonista a questo pensiero ultrapositivista scrivendo anch’egli (uno dei vari costruttivi paradossi che incontriamo nella lettura) un manuale che nelle classiche sette mosse ci disintossicherà da tutta quella letteratura dell’auto-aiuto impostata a cogliere l’attimo e vivere il momento, evitandoci di programmare progetti a lungo termine…
D’altronde, per coloro che sono già calati in sistemi avanzati di lavoro, dire di sì è quasi un imperativo e le moderne aziende, pur avanzate tecnologicamente, vessano i loro dipendenti conglobandoli subdolamente nell’esperienza aziendale accampando pretese di miglioramento tramite somministrazione di terapie, corsi, favorendo l’implementazione delle risorse umane, fagocitate alla base emotiva e personale, al fine poi di adattarla e reindirizzarla verso una maggiore performabilità di rendimento in ambito professionale, annullando il confine tra vita lavorativa e vita privata – ci portiamo il lavoro a casa e il lavoro diventa inevitabilmente casa; ugualmente l’esperienza interpersonale diventa funzionale a un obiettivo (emotivo o pratico), svilendo il piacere etico e umano della relazione.

 

Flessibilità è quello che le aziende chiedono nelle inserzioni di lavoro: “Cerchiamo qualcuno che sia flessibile, capace di adattarsi e aperto alla crescita professionale e personale”, ” Stare fermi è il peggiore dei peccati. Chi sta fermo… resta indietro; e oggi significa retrocedere”; quindi “nella modernità liquida, o capitalismo flessibile, postfordismo o società dei consumi, la regola numero 1 è: devi stare al passo”. Restare al passo significa andare a ritmi accelerati, il ché non è sempre facile, si dorme meno, si mangia velocemente, ci si riposa un’unghia.
La risposta pragmatica di Svend è critica e consiglio in controtendenza alla assurda cultura dell’accelerazione, fatta principalmente per coloro che non trovano una dimensione congrua in detta cultura, i delusi e gli smarriti che si rivolgono senza costrutto a terapie, corsi, manuali, diete, ecc. ecc., che avrebbero lo scopo di farli sentire in linea con i tempi accelerati odierni, rivelano invece la pochezza, la vuotezza e il dispendio di energie che potrebbero essere spese altrove con maggiore e pure soddisfacente consapevolezza, magari decelerando o stando addirittura fermi mentre tutto si muove a ritmi folli.

Il Prof. Brinkmann non è assolutista e discerne perfettamente le cose, cioè, che a uno possono star bene mentre ad un altro fanno solo star male, stesso lui non sfugge al carico di questa modernità che rende schiavi.

“Sembra che a tutti noi manchino uno scopo e una direzione, e questo ci fa correre di qua e di là alla ricerca dell’ultima ricetta della felicità, del progresso e del successo”; non a caso la depressione e il burnout sono fenomeni in aumento quando non si è all’altezza delle aspettative, una volta inculcata la regola che ‘possiamo fare tutto’.

Brinkmann propone in antidoto alcuni precetti estrapolati dalla filosofia degli stoici romani (Epitteto, Marco Aurelio, Seneca – rilasciando in appendice cenni storici), affinché l’individuo si renda conto che per vivere una vita serena, in pace con se stessi, che abbia capisaldi nella dignità, nel dovere, nella integrità personale, non occorre rivolgere le finalità di scopo verso il sé, bensì al di fuori di sé. La cultura dell’IO, autoreferenziale e vuota, non da spiegazioni e risposte reali sul perché di tutto questo sforzo accelerativo che snatura l’individuo; piuttosto, adottando per buoni alcuni fondamenti degli stoici, Svend riconduce la persona a mettere radici, soprattutto col pensiero, mostrando il palpitante confronto tra la vita irragionevole promossa e veicolata dal progresso e quella rivoluzionaria, seppur antica di 2500 anni, predicata dagli stoici.
I sette consigli organizzati in sette capitoli approfondiscono il percorso da seguire per non farsi travolgere e resistere, con tanto di piccoli esercizi da ripetere per rafforzare volontà e autocontrollo, che sono l’anima della razionalità: “L’obiettivo è quello di aiutare il lettore a liberarsi dallo stato di dipendenza dai guru dello sviluppo, dell’adattamento, della terapia e dello stile di vita”.
Personalmente considero salvifica la visione di Brinkmann, che non manca di collegamenti con materie quali la psicologia, la filosofia, la sociologia, offrendo un quadro vigoroso, acuto, sostanzioso e comprensibile.
Pare voglia dire che il troppo ha giusto una finalità, quella di stroppiare, così come i rigidi dettami morali, parentali e sociali del passato (pre-società dell’accelerazione) hanno ingessato e oppresso l’uomo scatenando la psicoanalisi.

Vivere bene non è solo questione di raggiungere i propri sogni o desideri, stravolgendo la mentalità in modalità assolutista-positivista in vista di essi; vivere bene, appunto secondo gli stoici, è considerare la vita in modo nettamente opposto a quello generalizzato di oggi, riflettendo e ragionando sulle negatività per abituarsi a resistere, esercitandosi a privarsi di qualcosa di abitudinario per rafforzarsi e superare i momenti brutti e catastrofici che inevitabilmente la vita porta con sé: morte, vecchiaia, malattia, dolori…
Decisamente lo sguardo generale va recuperato riconsiderando i fattori esterni a noi, la natura, le persone, la stima, l’autocontrollo, il passato, la letteratura romanzesca, riabilitando il senso etico e non appoggiando quello opportunistico o funzionale del mero tornaconto, dimodoché si possa trarre reale appagamento ed equilibrio rispetto alla vita, che sappiamo non governabile, preferibilmente basandoci sull’integrità personale e non sull’ autosoddisfazione di pancia.

Keep calm and keep thinking!

Ricordo che l’autore non fa di tutta l’erba un fascio, non stigmatizza nessuno; egli si rende conto che la nostra società è malata e portatrice di effimeri valori indotti che tengono conto soprattutto delle apparenze e di obiettivi fini a se stessi vissuti con atteggiamento assolutistico-positivista, essi scalciano, gioco forza, ciò che di negativo e reale fa invece parte della nostra incontrovertibile esistenza. Detta guida, in sette steps ripropone di riacquisire qualcosa di naturale che è andata perduta, al fine di allenarci (anche la volontà è un muscolo) a non esorcizzare ciò che di negativo ci appartiene, piuttosto di usarlo preferibilmente in modo pragmatico, apprezzando le cose belle che si danno per scontate, consapevoli degli effetti riequilibranti d’essa, guardando all’essenza contenutistica delle cose, delle persone e degli eventi.
Consigliato profondamente a tutti.

Ultima curiosità. Leggo da un sito: “Il successo del saggio, CONTRO IL SELF HELP (Come resistere alla mania di migliorarsi), avuto in Danimarca da mister Brinkmann ne ha fatto un intellettuale di riferimento. Ora Svend viaggia in lungo e in largo per tenere conferenze sugli interrogativi della vita moderna. È comparso in numerosi documentari e trasmissioni di successo alla radio e alla televisione danesi”.

Un ulteriore paradosso a cui Svend democraticamente non si sottrae.

 

 

 

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