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Recensione : Contropotere

L’avventura dei Contropotere inizia nel 1985. Il nomadismo punk di quegli anni, tra teoria, ideale e pratica, fa incrociare il percorso si due formazioni lontane da un punto geografico, ma vicine in tutto il resto: i Link Larm da Padova e gli Elettrokrazia da Napoli.

Contropotere

L’avventura dei Contropotere inizia nel 1985. Il nomadismo punk di quegli anni, tra teoria, ideale e pratica, fa incrociare il percorso si due formazioni lontane da un punto geografico, ma vicine in tutto il resto: i Link Larm da Padova e gli Elettrokrazia da Napoli.


Per quanto oggi possa apparire impossibile, la realtà veneta e quella campana ai tempi erano molto simili: il boom economico del Veneto avverrà solo nella prima metà degli anni ’90 e prima di allora la regione soffriva delle stesse problematiche dei connazionali campani: alto tasso di disoccupazione e, va da sé, anche di migrazione; alla fine delle bonifiche portate a termine dal regime fascista nell’Agropontino (ma iniziate dal precedente governo Giolitti), le famiglie chiamate a ripopolare la zona sono per lo più venete; una migrazione che, curiosamente, spingerà i veneti a sud, mentre i campani si spostano verso nord, anche negli anni del dopo guerra (tanto per dire: la ragazza a servizio, interpretata da una bravissima Carla Gravina, che viene corteggiata da Gassman/Beppe ne I Soliti ignoti di Monicelli, è veneta) e che si protrarrà fino quasi alla fine del secolo.


Due DNA dove il concetto di migrazione è iscritto come codice di fuoco e che l’esplosione del fenomeno Punk, tra esperienze di occupazione e la creazione di un vero e proprio circuito internazionale, porterà ad una ridefinizione e tramuterà questo, da necessità, in stile di vita: migrare non più per sopravvivere lavorando, ma spostarsi di continuo per vivere liberi dal giogo opprimente del lavoro salariato.


Proprio da tutto questo si crea uno dei sodalizi più fruttuosi e, ahimè, troppo spesso dimenticati del nostro paese: i Contropotere.


Per certi versi, ma forse anche per tutti, i Contropotere hanno rappresentato il picco del Punk Hardcore all’italiana, sia musicalmente che ideologicamente;

nel 1986 esce “È arrivato Ah Pook”

 

(1986, Autoproduzione) , una testimonianza straordinaria del primo anno di vita del gruppo/collettivo: una semplice Demo in cassetta ma che, a risentirla adesso che i lustri son passati e il sangue si è fatto caldo, presenta tutt’altro che un gruppo alle prime armi.

Nessuna ingenuità e idee chiarissime, sia da un punto di vista tematico che narrativo, sia stilistico che compositivo; i 7 pezzi che compongono la cassetta sono infuocati di un Peace Punk dedito alla commistione tra Crust Core di scuola Bristol (Disorder, Amebix, Chaos Uk) e quello, ai tempi, più recente di gruppi come come Hell Bastard e Deviated Instict e una certa propensione all’elettronica (i Contropotere, come i Crass, avevano un synth in formazione, il recentemente scomparso Bostik) che, se qui si affaccia in maniera garbata per dare vita a suggestioni distopiche, rappresenterà uno strumento che darà una svolta decisiva alle evoluzioni successive del collettivo. Lucia canta come una Banshee posseduta da fantasmi mediterranei, descrivendo futuri distopici e realtà corrotte dalla morale cristiana. Un’oscura sacerdotessa nel tempio ideale dell’anarchia selvaggia, quella dei picari e delle streghe.


Le idee son chiare sin da subito e quello che si può sentire nella demo del gruppo ci consegna già un disco che, a buon diritto, si pone fra i classici dell’Hardcore Old School in chiave italiana.


È Arrivato Ah Pook! esce appena in tempo per poter rientrare nella suddetta categoria: siamo nel 1986 e l’anno dopo presso il Casalone di Bologna si terrà quello che sarà indicato dai vari protagonisti di quel sottobosco come l’atto finale di un modo di intendere e fare Punk Hardcore; il concerto che I Negazione, gli Indigesti e i C.C.M. terranno in loco, per quanto leggendario e con tutte e tre le formazioni in splendida forma, è da considerarsi come un punto di non ritorno: i CCM e gli Indigesti si scioglieranno da lì a poco, mentre i Negazione avvieranno un percorso che li porterà a suonare sui grandi palchi (qualitativamente sempre enormi ma, per scelte e direzione, sicuramente non più Punk Hardcore). Nel 1989, poi, i Kina fanno uscire “Se ho vinto, se ho perso”, un documento sonoro atto a ripercorrere i passaggi di un’intera stagione, esaltarli e criticarli aspramente allo stesso tempo, nel tentativo di capire come agire nel futuro. I Kina si risponderanno poi da soli con “Parlami Ancora” del 1992, ma i Contropotere, nomadi, picari e senza tempo, forse estranei anche al resto della scena a loro coeva, in tutta risposta al momento di temporaneo stallo del Punk italiano, si stabiliscono a Napoli.


Napoli.


Città che si vorrebbe intrappolata in una cartolina: il Vesuvio sullo sfondo del Golfo, una pizza, un mandolino, un caffè, Maradona, un popolo di cialtroni e ladri da pacco e contropacco, la presenza asfissiante della malavita…
Ma Napoli non è questo, Napoli è molto di più.
Napoli è la città dei Masaniello che mise in discussione l’autorità di un Re prima della Rivoluzione francese. Napoli e le sue quattro giornate, la prima a liberarsi dai nazi fascisti e, proprio perché Napoli, lo fece da sola e in totale anticipo sul resto della penisola: raccontata ne “La Pelle” di Malaparte, la Liberazione di Napoli fu un movimento di popolo, spontaneo e vitale: priva di armi di ordinanza, la cittadinanza si riversò come una belva inferocita sulla wehrmacht armata di cocci, chiodi e coltellacci da cucina.
La Napoli pagana, alchemica, dei misteriosi cristi velati di Palazzo San Severo. Dei vicoli pieni di simboli criptici per segnalare la presenza di streghe. La Napoli che venera i femminielli, gli androgini…
La Napoli che Pasolini indica come unico avamposto refrattario alla prepotenza della Società dei Consumi.


I Contropotere trovano in Napoli il loro habitat naturale e registrano per Attack Punk (etichetta di proprietà di Helena Velena e dei suoi Raf Punk, vera focina di un Punk Rock tutt’altro che di maniera) il loro primo LP “Nessuna Speranza, Nessuna Paura” .

Siamo nel 1988 ormai, e , come già annunciato, il primo Punk Hardcore perde persone e motivazione, ma i Contropotere, in totale controtendenza, si esibiscono in un teatro dell’assurdo che, tra richiami pagani, visioni elettroniche, Crust Apocalittico (verrà chiamato in seguito Neo Crust ma dovremo aspettare altri 8 anni e il debutto degli His Hero Is Gone per poterlo chiamare così), accenni industrial (provate a dare un ascolto a quel capolavoro che è la traccia conclusiva…) una politicizzazione che fa appello più all’esoterico, al mistico, a tutto quello che da slancio all’ essere umano e lo spinge ad immaginarsi come qualcosa di diverso e di migliore, che a quello fondata su saggi, manifesti programmatici e proclami. Una spiritualità altra si affaccia prepotente dai solchi di Nessuna Speranza Nessuna Paura; già nel titolo è palese la ripresa del classico slogan anarchico “nessun diritto, nessun dovere” e la sua messa in atto nel mondo delle idee. Siamo a due passi dal crollo del muro di Berlino e da quel tragico momento, da molti, troppi, dato per scontato, durante il quale le cornacchie del capitale inizieranno a salutare tale evento come la sconfitta storica delle ideologie tutte. In realtà ha perso solo una versione materialista del Comunismo che, oltretutto, si era rivelata sorda di fronte alle varie evoluzioni del Marxismo durante il secolo breve.

I Contropotere, da bravi discepoli di Cassandra, non si fanno cogliere impreparati e in Nessuna Speranza sembrano già voler portare lo scontro non più su di un livello materialista ma direttamente nel mondo delle sovrastrutture e attaccano già con le loro parole nonché atmosfere pagane l’ideologia alla quale in molti, pochi anni più tardi, si attaccheranno convinti di essere orfani di un impianto ideologico in cui credere. Nessuna Speranza Nessuna Paura è una dichiarazione di guerra a quella finta pacificazione attuata sotto il papato di Giovanni Paolo Secondo: parlare con retorica di pace, appropriarsi indebitamente di una dialettica ed in linguaggio basico in odore di Marxismo ma che in realtà predica pace e carità in un mondo che sta per esplodere: l’invasione del Kuwait, la Jugoslavia che si frantuma in schegge intrise di sangue e morte, Il Ruanda…la povertà non è stata cancellata dall’abbattimento di un muro, i conflitti si estendono e si moltiplicano, il conflitto di classe, col passaggio della quasi totalità del pianeta sotto un’economia neo-liberale, viene esteso a tutto il pianeta e le religioni monoteiste diventano un comodo paravento per nascondere la vera natura imperialista e capitalista di nuove guerre (mantenere la situazione su di un piano conflittuale nei paesi del terzo mondo per giustificare l’occupazione permanente e difendere gli interessi in loco del capitale). In questo scenario, l’anarcho-paganesimo dei Contropotere acquista ancora più motivazione e, a maggior ragione, anche la loro musica.

Nel 1991, per la tedesca Skuld Realeses, esce uno dei più grandi lasciti del gruppo: “Il Seme della Devianza” (https://youtube.com/playlist?list=PLPIvRf8wrak8AUYZioxeQ3jRFubuEQhvU ) è uno dei più grandi capolavori partoriti da menti nate e cresciute su suolo italico.

Musicalmente il disco è in anticipo su tutto il Post Hardcore dello stesso decennio e anche oltre: mentre, nello stesso anno, i Neurosis operano una sterzata appena percettibile al loro Punk Hardcore, in The World as Law, i Contropotere ci arrivano senza troppi problemi; Il Seme della Devianza è un disco solenne, metallico, apocalittico, tribale, urlato e, fatto ancora più importante, corale (i Contropotere diventano, da cinque, una formazione di quattordici elementi, tra i quali figura anche Sergio Maria Papes, ex batterista di quel miracolo Beat e Prog che risponde al nome de I Giganti!!!). Elettronica e intuizioni Noise, Crust cadenzato che si sposa con una psichedelia vicina al rock pagano anni ’60 di gruppi come i Coven, un disco impossibile da definire al periodo e che, per certi versi, lo è tuttora: frutto di un lavoro collettivo e continuamente impostato su di una lettura differente del presente rispetto alla narrazione generalista. Il vero atto di protesta de Il Seme sta proprio nel raccontare con occhi, lingue e cervelli differenti, o devianti appunto, la realtà: quando il cristianesimo parla di speranza, i Contropotere parlano di guerra, quando il Capitale parla di libertà, i Contropotere parlano di nuove schiavitù e vincoli.

Sono ormai trascorsi trent’anni da questo gioiello senza tempo e senza eguali e penso si possa dire che, se da una parte, il Capitale abbia vinto sull’esistente intensificando sempre più la prepotenza dei suoi arsenali mano mano che la sua menzogna andava spogliandosi di retorica post-muro e verdi prati sconfinati fatti di shopping e offerte 3X2, dall’altra, ai Contropotere resta senz’altro la soddisfazione migliore:

quello di aver raccontato, con metodo, forza, invenzione, la realtà per quello che era rendendo questo disco un documento storico molto più affidabile di tanti monoscritti e articoli di giornale dello stesso periodo, che, a rileggerli oggi, fanno sorridere per la loro malafede e capziosità infantile.


La stessa formazione a quattordici, nel 1992 e sempre a mezzo Skuld Realeses, rilascia il 7” “Solo Selvaggi

piccolo pezzo di plastica che fa da perfetto compendio alle intuizioni de Il Seme: sempre un ascolto stimolante, sempre suggestioni pagane provenienti da una spiritualità necessaria ed altra; forse, dato lo scarso minutaggio del formato, limita le digressioni psichedeliche ma non rinuncia al lato più tribale e ferino del collettivo.

Fra tutti spicca il brano Briganti, antico canto di protesta napoletano ripreso per l’occasione e che riesce a chiudere in maniera opportuna la prima fase creativa del gruppo:

dopo tanta ricerca, tanto cimento per sfuggire ai luoghi comuni e alle sovrastrutture di un presente dove ormai, il luogo comune e le sovrastrutture, stanno diventando parte integrante del pensiero comune, i Contropotere si riallacciano alla tradizione: il genere umano, da sempre, è incapace, nel suo subconscio collettivo, a concepire ed integrare in sé il concetto di potere; tramite il canto, la musica, da sempre ha dato sfogo a questo contrasto, a questa voglia di liberarsi dai vincoli di chi promette sicurezza ma attua solo oppressione e controllo.

I Contropotere, in questo pezzo, dimostrano la loro appartenenza di diritto ad una tradizione popolare che va oltre il Punk, oltre il concetto di Anarchia, ma che si attesta nel mondo della natura vera del genere umano: solo selvaggi se civiltà significa appartenenza a un patto che da benefici a pochi al prezzo del sacrificio di molti.


Miglior chiusa per un periodo così non potrebbe esserci e, di fatto, i Contropotere decidono di cambiare per continuare ad esistere: nella loro forma nomade, brigantesca, punk, profetica, ritualistica, oramai hanno detto e scritto tutto; giunto è davvero il tempo di cambiare lessico, sia nella musica che nell’argomento, nel metodo narrativo che nell’estetica del suono; i Contropotere cambiano ma non lo fanno senza dimenticare il passato, quello che sono stati. Il metodo e la capacità analitica rimangono, l’arte prende un’altra direzione.


Cyborg 100%”, del 1993 ed autoprodotto dal gruppo stesso, ( https://youtube.com/playlist?list=PLxIYCxmlr5zmvlma1OACm0OgRBqCb8ULV ) è una sterzata su territori techno ed industrial pur mantenendo intatte le armonie ancestrali e barbare del gruppo.

Da molti odiato, 100% Cyborg è, nel suo cambiamento repentino, un perfetto atto di coerenza: in otto anni il gruppo non si è mai fermato, continuando ad annettere in sé persone, pensieri, suoni, situazioni, idee, continuando ad evolvere cambiando muta ma, nella continua ricerca di contaminazione, rimanendo fedele a se stesso. Come detto in apertura i Contropotere sono nomadi, viandanti in un mondo ricco di contraddizioni e storture, ma anche di storie e realtà fantastiche. La capacità straordinaria dei Contropotere (che però in questo disco si autoribattezzano CP01) è quella di essere sempre riusciti, nella loro breve ma intensa storia, a integrare i nuovi linguaggi per poter meglio raccontare il mondo. Lontano, come è sempre stato per i Contropotere, dagli slogan e dagli inni, questo disco è refrattario anche ai luoghi comuni: i Contropotere rinunciano ad essere i Contropotere e, in questo passaggio, rimangono i Contropotere.

Un disco, questo, che va riscoperto poiché ben fatto e ben argomentato; come tutti i dischi della formazione è praticamente perfetto e senza sbavature o riempitivi.

A riguardarli e risentirli oggi, i Contropotere si dimostrano infine come uno dei migliori gruppi nostrani (anche se a dirli nostrani si commette un passo falso: i Contropotere sono un patrimonio per tutto il globo) e un po’ lascia l’amaro in bocca il pensare che, ad oggi, non gli venga riconosciuto nessun merito e siano stati accantonati con un po’ troppa fretta.

Spero, con questo mio piccolo ed insignificante articolo, di poter stimolare un nuovo interesse per questo gruppo fenomenale. Vi assicuro che mi ringrazierete

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