CRAC!
Di Antonio V. Lutzu
Editore: Menti Colorate
Ed ecco finalmente della poesia che spezza i canoni, che dà da pensare depensandosi, la poesia i cui buchi dicono forse più dei pieni, la cui parola diventa strumento ingombrante ma necessariamente funzionale a un circuito che esige di trapassare il senso, depotenziandolo o creandone altri, di diversi, affiorando poi in vampe semantiche e insieme rinvigorendo il lemma, questa parola fottuta, fottente, forgiata e poi fruita, vomitata ma anche vomitante.
“Crac” è il poetico libello rivoltoso di Antonio V. Lutzu, edito da Menti colorate, uscito nel novembre del 2016 ma sempre in circolazione, non ha età un libro di tal fatta. Lo potremmo leggere anche fra cent’anni e la corrosione dei suoi versi sulla lingua avrebbe lo stesso effetto.
Sicuramente grato all’insegnamento del Carmelo nazionale, Bene: noi siamo nel linguaggio e il linguaggio crea dei guasti; anzi è fatto solo di buchi neri, di guasti. Lutzu disserta in maniera originale su questo fronte, penetrandoci nel linguaggio e infiorettando fioriture che sono anche mancanze, o il contrario.
e se al suono si aggiunge la kappa /e se dal suono germogliano psicosi / e se il suono è sostanza volatile / esse del suono strisciano collose / esse sono intuizione e pestilenza / guasti del dire che non vorrebbe /effetti paranoici deliri lucidi
Quello che personalmente ne traggo leggendo la dirompenza quasi a tono moderno rappato, ma che porta dentro sé lo studio atavico della lingua e per cui connubio incredibile, e quello che mi pare l’autore voglia dirci è che per sfuggire al potere condizionante della parola bisogna in qualche modo disarcionare il linguaggio, creare dei buchi, delle peristalsi lessicali, snaturare il senso col paradosso.
Un ovvietà maschia la nostra
un briciolo di farsa
un ozio che brancola e tratteggia
un compulsivo scritto propiziatorio
un amen un nume un pio un periplo
un raggranellar nulla e alleluia
un niente d’altronde
un
Insomma, è una battaglia etica nella controetica della rivoluzione.
C’è uno strabordio di allitterazioni nelle poesie Lutziane, di antitesi, di neologismi, di parole mangiate, di illuminazioni improvvise, mentre i vocaboli sembrano correre, la lettura non si può fermare, a volte sembra una magia, come se le parole incastonate nella pagina agissero nell’inconscio, e tutto fluidamente, a rompicollo, obbligatoriamente procede:
individuo sprovvisto di capacità varie
qualsiasi sproloqui televisivo etc. etc.
voler capire fino a non capire l’et cetera
un ibrido brivido tra monaco e macellaio
la nullità che nulla annulla e il nepente
su poltrone brinda la brina che suda etc.
mozziconi mozzafiato vibratori vibrafoni
cianfrusaglie mentre leva la lingua
solleva il mondo
Lutzu insomma prende molto seriamente questo suo sbeffeggiare. Questa operazione che ha dell’ossimoro è congegnata per stupire ne siamo certi, non come ordinazione cerebrale ma tutt’altro, come specifica prassi nel lasciare libero l’inconscio – quello che ne sa più di tutti.
Questo libro è un gioiellino anche come oggetto/libro nella sua edizione maneggevole, la copertina al tatto particolare, l’illustrazione sul frontespizio e in quarta di Giulia Pasa Frascari nella quale una testa umana pare rompersi squadernandosi come il titolo onomatopeico dell’opera ci suggerisce: CRAC!, questa imitazione fedele al suono di rottura, il borborigmo logorroico di una provocazione di parole ad infinitum.
Dureranno negli anni questi versi, abbiamo detto. Perché non è poesia civile e sociale (con la s minuscola) o calcolata lirica da acchiappafrequenze del mood moderno. No, è quell’articolazione della mancanza e del surplus della parola che ci portiamo dentro, sorprendentemente esposta, metodicamente cablata in versi.
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