Un cimitero in piena notte illuminato da una gigantesca luna piena, un’orda di zombi affamati di carne viva che fuoriescono dalle tombe, pronti a seminare il panico in città e scatenare l’apocalisse.
L’illustrazione di copertina di questo “El culto de la muerte”, album d’esordio degli italiani Crisis Benoit, non lascia certo adito a dubbi sul genere di riferimento: le coordinate sono quelle che fanno capo alla gloriosa tradizione inaugurata a suo tempo da band seminali quali Cannibal Corpse e affini: un death metal che alterna staffilate ultra veloci a mid tempos sostenuti e cattivi, il tutto accompagnato da una voce che si destreggia tra un growl cavernoso e lugubre e urla acutissime, come grida angosciose mortifere e allucinate.
La disperazione che qui si canta attinge a piene mani dal classico repertorio horror, splatter e gore, in un mix classicamente nostalgico, o nostalgicamente classico se preferite.
A livello sonoro, gli ingredienti ci sono proprio tutti: chitarre mediose e zanzarose, basso che fa il suo nel supportare una batteria limpida e precisa. La produzione è eccellente nel suo voler essere così sfacciatamente low-fi, lontana dai suoni patinati e super curati a cui molti gruppi ci hanno ormai abituati.
No, qui non troverete quei suoni ultra pompati, plasticosi e fittizi che vanno tanto per la maggiore oggi: la parola d’ordine è una sola: grezzezza.
Questa è musica ruvida, che non circuisce l’ascoltatore con artificiosi barocchismi da studio di registrazione, ma che mira alla semplicità, all’effetto cartone in faccia, centrando pienamente il bersaglio.
Nel corso delle dodici tracce sarete condotti sempre più verso il basso, come steste percorrendo una fredda scalinata di pietra consunta e spigolosa, macchiata di sangue, pus purulento e scampoli di organi interni, diretta inesorabilmente verso l’abisso della morte.
C’è qualcosa di nuovo in questo disco? Niente affatto.
C’è qualcosa di bello?
Eccome.
Crisis Benoit