Credevamo alle favole quando le vivevamo, poi le favole hanno lasciato il posto alla concretezza dei bisogni e all’intorpidimento dell’età adulta, tuttavia dovrebbero tornare al punto di partenza; l’insopportabile pesantezza dell’essere le richiama in auge.
Spostandoci lungo il tempo abbiamo maturato una consapevolezza; oltre l’utile ci serve per forza di cose il dilettevole.
Se l’utile coincidesse col dilettevole ecco che torneremmo ancora una volta a vivere le favole come reali.
Se non coincidessero allora è plausibile aprire una porta verso la favola o verso la concretezza.
L’elemento magico di raccordo di cui si ha bisogno è la narrazione.
Raccontare l’esperienza fantastica che si sta vivendo con dentro tutte le farciture necessarie a renderla appetibile, questa porzione di tempo e spazio, fa si che la si possa persino ricordare per sempre.
Questo fanno i libri, i dischi, i film, il teatro, i disegni, ma per essere prodotti hanno bisogno, però, di elementi di concretezza.
Le favole raccontate sono capaci di influenzare in meglio la nostra realtà?
L’immaginazione serve, fortunatamente, a definire sogni e speranze che evitano di appiattire la realtà, proprio come fa il terrapiattismo?
Ricostruire un panorama immaginativo e fantastico che addolcisca il mero computo di vivere una vita fatta esclusivamente di elementi concreti è probabilmente il fulcro attorno al quale ruota la timeline di vita di ciascuno di noi. Per cui…
… raccontami il tuo mondo fantastico ed io ti racconterò il mio.