Solo, in mezzo a questi boschi, i passi affondano nel verde scuro inumidito, le scarpe fangose, sporche. Il fresco pungente del primo mattino accarezza il volto e punge, punge come un dardo settembrino tempestato di leggero ghiaccio aurorale. Di colpo, una radura: ed è già chiaro, nel cielo, il blu scuro della notte si sta già tingendo di quel giallo arancio rosa pallido del sole, metto il berretto per poter vedere meglio.
Ancora qualche passo e si giunge al ruscello. L’acqua, vivida e potente, scorre incessante e rievoca eraclitee memorie sopite. Frammenti di vita celata, sedimentata dallo scorrere del tempo, quel tempo-fiume che non cessa il suo scorrere, un corso che inghiotte tutto ciò che esiste e, alla fine, inghiotte anche me.
Questo, in estrema sintesi, quello che ho provato ascoltando l’ultimo lavoro del compositore ligure Davide Cedolin.
Un inno alla natura, natura che il nostro conosce molto bene, dato che vive ormai da tempo sulle alture, lontano da spazi antropizzati, circondato dalle vere voci del mondo, che dall’alba dell’universo sussurrano il loro messaggio.
Di queste voci ancestrali Cedolin si fa in qualche modo portatore. Il tentativo è di veicolare il suono del mondo usando chitarra, banjo, un po’ di synth e qualche suono concreto. Le accordature aperte ben si prestano alla tecnica del finger-picking, magistralmente impiegata per creare trame evocative, sognanti, in cui il tema del viaggio, non solo fisico ma anche e soprattutto spirituale è declinato attraverso sei brani: si passa dalla fredda pioggia cadenzata di Buried Waltz al delicato incedere di The Spirits Came From The Hills, in cui il sapiente uso del modo lidio, alternato a passaggi in chiave minore, restituiscono il senso di pace che si prova quando la pioggia smette di cadere.
L’itinerario prosegue con il misticismo di Call Of The North East, in cui un bordone di synth che sovrasta le note del banjo sta lì a ricordarci che la voce dell’Essere avvolge ogni cosa, si passa poi ai taglienti arpeggi di Eredità Foreste, andante con brio, e la tanto misteriosa quanto affascinante Amodal Roots.
La coda Last Chills At The River è una sparuta costellazione di note disseminate tra fruscii e crepitii, quasi a voler indicare che, nel cuore del bosco, il nostro io individuale è inevitabilmente desinato a disperdersi nell’ineffabile immensità del Tutto, fondendosi totalmente con esso.
Sono entrato in un bosco, e il bosco è diventato me.
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