Straniante ma allo stesso tempo familiare, la nuova release dei Deadburger è un calderone rumoroso, dove feedback di fondo fanno da giaciglio per melodie di synth (talvolta pop) e la canonica struttura bassochitarrabatteria (alcune spigolosità ricordano i Santo Niente) diviene una sorta di arma impropria predisposta a far male, grazie anche alle parole del cantato di Simone Tilli, pervase da metafisicità ed alienazione.
C’è ancora vita su Marte non è certamente il disco più diretto ed easy che mi sia capitato tra le mani e la sua apparente dissociazione di personalità riscontrabile nella tracklist che ad un primo ascolto può anche risultare caotica, dopo qualche presa in riesame, diviene la forza reale di questo disco.Non c’è infatti casualità alcuna nella sequenza delle ventidue composizioni presenti nell’ album: c’è una consapevolezza di fondo che permette alla band di passare dalle gravezza di brani come “Utile Idiota “ ad altri dalle connotazioni più pop/cantautoriale come la successiva “ Magnesio “ che ci riserva però nella coda momenti molto free con l’ospitata di Jacopo Andreini al sax; da sincopate isterie ( “Sandro Bondi sindrome “ ), a docili carezze di pianoforte e voce in “Wormhole “. La traccia omonima del disco è sensibile e calda, grazie anche alla voce di Poloa Maria dei Gestalt, mentre brani come “Sedna “ sono elettrici e saturi.La qualità maggiore di questo lavoro per concludere, senza nulla togliere ovviamente al livello compositivo, è la ricerca sonora che riesce ad essere particolare e fresca senza cadere mai in altezzosi virtuosismi.