A me, proprio a me, l’autoproclamatosi paladino della bassa fedeltà, il sedicente cavaliere senza macchia e senza paura del lo-fi capita di recensire, nel giro di pochi giorni, due dischi ben suonati, ben registrati e ben prodotti.
E sapete qual è il paradosso? mi piacciano entrambi, e pure parecchio. Dopo aver parlato di Andrea Van Cleef eccomi quindi a scrivere qualche riga sul disco di Delrei, moniker dietro il quale si cela il chitarrista Alessandro Mercanzin. Anche in questo caso si tratta di atmosfere desertiche, ricche di pathos ed evocanti una sottile e straniante malinconia che non scade però in nessun caso nella stucchevolezza, né nello sterile autocompiacimento.
Gli undici pezzi di questo album sono tutti di ottima qualità, frutto dell’ispirazione e della capacità dell’autore nel saper comporre canzoni che rimandino alla mente echi e sensazioni che è complicato rendere con il giusto afflato.