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Politiche Dell’amicizia (cortina, 2020) Di Jacques Derrida

Nel marzo 2020 Raffaello Cortina Editore ha riproposto un saggio del filosofo francese Jacques Derrida, Politiche dell’amicizia, pubblicato originariamente nel 1995 nella collana dedicata alle sue opere.

Pensatore fondamentale del ventesimo secolo, esponente di punta, per volontà o semplicemente per contingenza, della filosofia continentale, Derrida ha nella sua carriera subito l’influenza di due altri grandi nomi del Novecento, Husserl e Heidegger, giungendo al paradigma decostruzionista che gli ha portato da un lato elogi accademici, dall’altro forti critiche dal mondo della filosofia analitica, a causa del suo periodare oscuro, complesso e talvolta giudicato privo di senso logico.

Sebbene io sia, di fatto, un affiliato dell'”altra parrocchia”, ho trovato Politiche dell’amicizia un trattato godibile sulle due questioni che riporta in oggetto. Se si riesce a mantenersi saldi durante gli arzigogoli linguistici e talvolta labirintici dell’autore, impresa non del tutto facile (ma d’altronde quale sfida filosofica lo è), si coglierà l’intento di apertura cosmopolitica su temi anche piuttosto attuali.

Jacques Derrida

La trattazione parte da un’apostrofe Aristotelica (maledetto Stagirita, benedetto Stagirita!) citata di seconda mano da Montaigne (e qui già si dipana un discorso storico-filosofico che ha già in nuce il percorso derridiano):

“O miei amici, non c’è nessun amico.”

Una contraddizione, un contrasto, almeno all’apparenza. Ma è proprio su questi stridori che Derrida e la sua prosa filosofica hanno vita facile. Attraverso l’analisi logica e semantica di questa frase (e delle sue varie declinazioni nella storia del pensiero) Derrida decostruisce e ricostruisce un percorso di autenticità etico-morale, e talvolta anche ontologica, che possa fungere da spinta per politiche del futuro che siano democratiche e dotate di senso.

Il punto di partenza è la filosofia greca, l’Etica Eudemia di Aristotele (e non solo), la questione del giusto, della giustizia, ma anche i vari modi in cui si può o si deve amare un amico, in quell’atto che prima di tutto rivolto verso l’altro:

“L’amicizia consiste nell’amare, è vero, è un modo d’amare, certo. Conseguenza, implicazione: è dunque un atto prima d’essere una situazione, l’atto di amare, piuttosto, ancor prima dello stato di essere amato. Un’azione prima della passione.”

Derrida arriva poi a Nietzsche, in un magistrale andirivieni tra i titoli dell’opera di questo. E qui la questione si complica. Si ribalta il pensatore tedesco, per troppo tempo considerato l’autore della superiorità soverchiante, mentre il filosofo francese va alla ricerca dei “forse” nietzschiani scrutando in essi la possibilità, l’apertura, l’incertezza; elementi forieri di strade nuove, non ancora considerate, di sicuro non rigide. E fa suo quello che in Nietsche è “un discorso di ostilità nei confronti del ‘gusto democratico’ e delle ‘idee moderne'”, che non si traduce in una pericolosa critica alla democrazia in senso stretto, ma “al contrario” attacca “[…] le mediocri caricature, la buona coscienza chiacchierona, la perversione o il pregiudizio.”

Dall’idea di amico a quella di nemico, all’accettazione della necessità di entrambi, e infine al superamento di entrambe le categorie, per una definitiva sospensione del giudizio, che è l’unica possibilità alla luce del percorso della tradizione occidentale che va da Aristotele a Blanchot.

Proprio in un momento drammatico come stiamo vivendo, e proprio nel preludio di un qualcosa che ancora non sappiamo che forma avrà, Politiche dell’amicizia si potrebbe rivelare come un testo fondamentale (insieme a tanti altri sulla ridefinizione del capitalismo) per il raggiungimento di una democrazia diversa, fraterna, amicale; un “appello” quello di Derrida, intesto come “slancio” verso qualcosa che superi l’uomo e lo renda migliore.

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