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Recensione : Desolation – Desoriented

Coinvolgente, vibrante, emozionante, aggiungete pure gli aggettivi che volete, ma non sono riuscito a trovare un solo momento di questo lavoro che non valga la pena d’essere assaporato.

I tedeschi Desolation sono sulla scena da oltre tre lustri, nel corso dei quali hanno pubblicato, curiosamente, solo tre album a distanza di sette anni l’uno dall’altro.

La band originaria di Hannover propone un black-death dai tratti melodici e dalle ampie aperture sinfoniche chiaramente debitore, e non porterebbe essere altrimenti, dei vari Dimmu Borgir e Cradle Of Filth. Proporsi dopo una così lunga assenza in un genere che ha vissuto la sua epopea ormai diversi anni fa, potrebbe sembrare un suicidio commerciale, oltre che una possibile e stucchevole riproposizione di quanto già sentito.
Nient’altro da aggiungere, quindi? Non direi proprio: Desoriented è un dei dischi più eccitanti che abbia avuto modo di ascoltare all’interno di questo segmento stilistico almeno nell’ultimo decennio: coinvolgente, vibrante, emozionante, aggiungete pure gli aggettivi che volete, ma non sono riuscito a trovare un solo momento di questo lavoro che non valga la pena d’essere assaporato.
I Desolation riescono a prendere tutto il meglio del symphonic black, attingendo alle sue seminali band nei momenti migliori delle rispettive carriere, ovvero quelli dei primi 3-4 dischi, amalgamandole con arrangiamenti moderni e soprattutto melodie dall’eccezionale impatto, ove sovente sale sul proscenio una chitarra solista in grado di lasciare in segno.
Anche se le differenze ci sono, e non poche, uno dei primi accostamenti che mi sono venuti spontanei per i Desolation è quello con gli altoatesini Evenfall, autori nell’ormai lontano 1999 di un lavoro clamoroso quanto sottovalutato come “Still in the Grey Dying”: i due dischi hanno in comune la tendenza manifesta dei musicisti nello spingersi pericolosamente ai confini del kitsch, riuscendo quasi miracolosamente a fermasi in tempo prima di oltrepassare tale limite, con risultati capaci di restare impressi a lungo nella memoria (provate a immaginare qualcuno che riesca a cantare, con un growl a cappella senza rendersi ridicolo, un testo come “Ave Maria Ave Maria magnificat mea anima dominum” …)
L’alternanza perfetta nell’utilizzo del growl e dello screaming, tastiere che sono ovviamente protagoniste senza dare mai l’impressione di debordare e, comunque sempre funzionali al risultato finale, una base ritmica impeccabile e un lavoro di chitarra da incorniciare, sono gli ingredienti che rendono Desoriented un autentico fulmine a ciel sereno in un panorama troppo spesso appiattito sull’esibizione della pura tecnica (ammesso che ci sia … )
Ognuna delle dieci tracce presenti nella tracklist vivono tranquillamente di vita propria pur essendo parte di un concept incentrato , come suggerisce il titolo, sul senso di disorientamento che affligge l’uomo moderno; la titletrack è il brano che i Dimmu Borgir non riescono più a scrivere da una decina d’anni, mentre L’auberge d’ésolation gronda inizialmente di romantica decadenza con un cantante che nell’uso delle clean vocals sembra posseduto dallo spirito di Aaron Stainthorpe, per evolversi in uno spettacolare crescendo.
Che dire della successiva The Sainthood of the Fallen, dove una voce maligna recita il famoso motto “on ne soit qui mal y pense” prima di evolversi in un brillante refrain sinfonico, di Contagion, che riporta alla memoria i ricordi ormai sopiti dei migliori Bal-Sagoth, delle pseudo religiose, almeno dei titoli Ave Maria e Agnus Dei e della conclusiva Ich hasse ein bisschen die Welt, ricca di intrecci ritmici e melodici?
Semplicemente che i Desolation hanno composto un disco che non può e non deve rimanere sotto traccia e che, chi ritiene che valga la pena spendere i propri preziosi euro solo per chi ha il merito d’aver tracciato una strada ma che ormai avanza solo grazie al pilota automatico, farebbe bene ad allargare un po’ di più i propri orizzonti geografici e musicali.
C’è solo da sperare che per il seguito di Desoriented i nostri non decidano di mantenere la cadenza settennale delle uscite: nel 2020 qualcuno comincerebbe ad essere un po’ troppo vecchio …

Tracklist:
01. Home Is Where the Heart Is
02. Dorothy
03. Desoriented
04. On Bloodshed
05. L’auberge d’ésolation
06. The Sainthood of the Fallen
07. Ave Maria
08. Contagion
09. Agnus Dei
10. Ich hasse ein bisschen die Welt

Line-up :
René Hühnerberg – Bass
Felix Hanisch – Guitars
Nicolas Marochow – Guitars
Johannes Bergmann – Vocals
Sebastian Thomas -Keyboards, Vocals
Thomas Nagel – Drums

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