Post rock e poesia, jazz impro prog, estetica musicale altra, con i loro nomi, Di Noi Stessi e Altri Mondi, Tritonica e Manuel Pistacchio.
DI NOI STESSI E ALTRI MONDI
Dopo sette anni dal loro debutto intitolato “Equorea” tornano a pubblicare i bresciani Di Noi Stessi e Altri Mondi con “Tutto lascia traccia”, autoprodotto. Il disco esce nei formati streaming, download diretto e una bellissima fanzine con il QRcode per scaricare il disco.
“Tutto lascia traccia” è un lavoro che fa male, coglie nel profondo della nostra anima e scava, scava finché non raggiunge il nervo più profondo e a quel punto morde dolcemente, fra dolore e gioia, fra commozione, le ferite e la velocità per tornare a ripescare ossigeno per respirare ancora, vita involontaria contro tutto. La musica di questo gruppo è un post rock dal respiro gigantesco, un cammino che porta a vette altissime, dove l’aria è più pura, talmente rarefatta che taglia la pelle e fa sanguinare. Ascoltare questo disco è meditare ogni passo, soppesare ogni movimento di quel travaglio che viviamo dentro e fuori, dove alcuni cadono e li ricordiamo a modo nostro, e chi cade per sempre va avanti, ancora e ancora.
Il post rock più onirico, poco ortodosso e bellissimo si sposa con le poesie che in altri ambiti si chiamano testi, ma qui è arte per davvero, fotografie ora nitide, ora sfocate, dove ci siamo noi, gli altri e le altre dimensioni dalle quali siamo composti, con l’ego che piove a frammenti, momenti dove ogni attimo muta pelle e si cambia per tornare alla mattina nella stessa pelle. Disco minimale e anche lofi nel senso più fedele e potente del termine, una ferita con il sale dentro che finalmente ti mostra chi sei davvero, e fa male. Melodie che accarezzano, pianoforti che ti sfiorano mentre stai per attraversare la strada e in quel momento ricordi chi si è tuffato con te in un mare di tanti anni fa, un altro mare che è passato come siamo passati noi, infinite volte.
La bellezza contundente di questo disco è meravigliosamente dolorosa, è la carta delle fanzine di questo disco, i versi, le foto e quelle parole sbilenche che ti entrano dentro, le pause, i silenzi musicali e la musica del silenzio, i crolli e l’andare avanti sempre, quel declamare che non smette mai come in “Aerei di carta”, quando le lacrime arrivano presto, ma non è nostalgia, è amore, amore anche per le nostre colpe. Uno di quei rarissimi dischi da custodire dentro al cuore, come fosse un defibrillatore, una scossa necessaria, un capolavoro.
“…di carta le mie colpe, la cui fonte non so trovare, se non in questa torre che cade, in questa forza maggiore…”
“Aerei di carta”
TRITONICA
Math rock, jazz core, progressive, space rock, caos. Questo e molto altro è il nuovo ep dei romani Tritonica, intitolato “Per grazia ricevuta”. quarta apparizione del gruppo nato presso la facoltà di Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, una delle tante cose belle che ha fatto e continua a fare per noi la filosofia. Gruppo in bilico fra vari mondi e dimensioni diverse, anzi gruppo in bilico e basta, i Tritonica ci portano in labirinti esotici e mai battuti prima da passo e da mente umana, in un cosmo diverso dipinto, composto da mille idee diverse, un free jazz impro altro, altero e molto particolare. Il loro suono è molto composito, l’impressione è quella di un’orchestra anche se sono solo in quattro.
Nel disco si passa da momenti orientaleggianti, a mazzate math, poi si passa vicino agli Zu per andare oltre, il tutto con una base tecnica e compositiva gigantesca. “Per grazia ricevuta” è un disco che è libero in tutti i sensi, e anzi va oltre tutti i sensi, portando l’ascoltatore in quella zona musicale e cerebrale assai fertile e poco frequentata di questi tempi dove la reale creatività diventa suono e si fa logos, pur essendo questa musica da noi percepita come strumentale, ma le parole ci sono eccome, e le declamano gli strumenti. i Tritonica sono uno di quei gruppi del sottobosco musicale che rendono la vita e le sinapsi migliori a chi li ascolta, abrasività, cultura musicale sterminata e una ampissima varietà di soluzioni, sempre diverse, nuovi paesaggi sonori dietro ogni nuova nota o rivoluzione.
La direzione è sempre e costantemente progressiva, oltre la forma canzone, oltre l’orizzonte, verso nuovi mondi, la scoperta alternativa di un ritmo che scorre dentro e fuori di noi è lo scopo preponderante di questo disco, un qualcosa di speciale e di estremamente vivo in un mondo oltre il suo zenith.
MANUEL PISTACCHIO
“Pellegrino” pubblicato da Brutture Moderne è il terzo disco dei romagnoli Manuel Pistacchio, trio affatto comune e mai scontato. La musica e i testi del gruppo sono qualcosa che si situa fra poesia e prosa alta, vita quotidiana vista attraverso occhi che non rendono la normalità ma la esaltano e la rendono altra.
Nel caso dei Manuel Pistacchio si può parlare con ragione di estetica musicale, ovvero della creazione di qualcosa che non è solo musica o testo, ma è una perfetta fusione fra le due, incontro fecondo che ci porta al passo successivo, che è ascoltare questo disco. “Pellegrino” è una sorpresa continua, un attraversamento gioioso e realissimo dell’ignoto, parole che fanno scaturire mondi ed universi con una musica che non è nemmeno tale, dove la musica diventa testuale, e le parole suonano. Prendiamo un esempio, “Onda su onda”, un quasi reggae in sottofondo, una chitarra che spazia, rumori vari, e una voce che ti stupisce parola dopo parola, quasi un amico che canta sulla riva di un fiume che non è mai lo stesso.
I Manuel Pistacchio creano un’atmosfera onirica che sembra talmente reale che si trasforma senza sforzo in musica che cambia direzione lentamente e senza mai tornare indietro. Se si cerca la definizione di gruppo originale non andate oltre, i Manuel Pistacchio sono qui per voi.
Meravigliosa incredulità, musica come un gioco che non si ferma mai, una rimodulazione della lingua italiana che stupisce parola dopo parola frase dopo frase. In tre parole creano mondi che altri gruppi non riescono a fare in tutta la loro discografia. Qui c’è tutto in un’altra veste, una vestito di un altro che parte per un viaggio e poi te lo racconta. Diego Pasini, Lorenzo Camera e Francesco Giampaoli sono una febbre che fa star bene, una frattura che fa godere, non si possono paragonare a nulla, sono i Manuel Pistacchio e basta. Menzione speciale per la bellissima foto di copertina, scattata trent’anni fa da Giampaoli con macchina analogica, calda e vivissima.
“Non mi hai tenuto le mani mentre cadevo, ora volo e non ti vedo…”
Amore Furibondo