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Recensione : Lvivchumamiskrembudmekhanizatsiya 1761 – Dibrowa

Lvivchumamiskrembudmekhanizatsiya 1761 - DIBROWA : Letteralmente Dibrowa è inquadrabile come un antico insediamento di sacerdoti pagani all'interno della riserva naturale ucraina di Znesinnia Park, musicalmente si inquadra invece in un filone che fa della ricerca e della sperimentazione sonora il proprio credo.

Lvivchumamiskrembudmekhanizatsiya 1761 - DIBROWA
Lvivchumamiskrembudmekhanizatsiya 1761 – DIBROWA

A Leopoli, in via Zelena 251, in una zona limitrofa che possiamo considerare l’ultima propaggine della città ucraina, tra cumuli di immondizia e incuria, c’è un cimitero abbandonato nel 1761, dopo avere ospitato centinaia di morti di peste. È riconoscibile per l’imponenza della figura del Cristo Addolorato che si staglia all’entrata.

A questo monumento dimenticato dalla storia è dedicato il concept album dell’ucraina Lyana Mitsko “Lvivchumamiskrembudmekhanizatsiya 1761”.

Dibrowa è il nome che ha scelto per rappresentare al meglio questa sua pressante necessità di dover rendere omaggio al nostro passato meno recente, e alla decisione di farlo attraverso l’esplorazione della sua città, dei suoi angoli più bui e abbandonati con un sottofondo “rumorosamente sperimentale“.

Letteralmente Dibrowa è inquadrabile come un antico insediamento di sacerdoti pagani all’interno della riserva naturale ucraina di Znesinnia Park, musicalmente si inquadra invece in un filone che fa della ricerca e della sperimentazione sonora il proprio credo.

Non è un album facile, questo ci tengo a precisarlo sin da subito, ma non è nemmeno così ostico come si potrebbe pensare nei primi momenti in cui il flusso sonoro inizia a prendere forma.

“Lvivchumamiskrembudmekhanizatsiya 1761” è il secondo lavoro per Lyana. Segue infatti il debutto del 2018 “Emelen”. In questi due anni la giovane ucraina ha affinato il proprio tiro e trovato un proprio percorso che l’ha portata a sonorizzare alla perfezione l’immobilismo del tempo che caratterizza quei luoghi. E va ascoltato senza la fretta di dover per forza arrivare subito alla conclusione.

Il tempo, per come siamo abituati a concepirlo, qui si dilata al punto di quasi fermarsi. Un disco come questo è più che sufficiente per arrivare a sera, senza doverlo sostituire subito con un altro. È un disco che va assaporato e capito, dosato con maestria e lasciato decantare.

Non sono molte le notizie che si trovano online sul progetto di Lyana, ma non è necessario avere una biografia sterminata per entrare in contatto con il mood che riesce a creare nei cinque episodi dell’album.

È come detto un qualcosa di estremamente intimista, un tentativo di riprendere e riallacciare un rapporto con i propri avi che il progresso ha sfilacciato, per non dire reciso. È un viaggio catartico, interiore, che non ci proietta verso quel futuro a cui ci spingono a guardare, ma verso un passato, che i nostri giorni, con le loro brutture, che non abbiamo ancora compreso del tutto.
Anche perché se così fosse, molto probabilmente non assisteremmo ai tristi spettacoli che ogni giorno le televisioni ci vomitano addosso.

Lyana è una persona che ha deciso di percorrere un viaggio, che, citando un poeta che non ci stancheremo mai di celebrare, non può che essere “in direzione ostinata e contraria”, rispetto a tutti coloro che si cimentano con le sonorità dark drone ambient inseguendo un futuro di cui personalmente non sento affatto il bisogno.

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