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Recensione : DION LUNADON – SYSTEMS EDGE

Terzo album solista per il polistrumentista Dion Palmer, meglio noto come Dion Lunadon, ex membro dei noise rockers A Place To Bury Strangers (dal 2010 al 2020, ma aveva già pubblicato l’Lp di debutto in proprio nel 2017, quando era ancora attivo anche nella band newyorkese) e oggi completamente immerso nel suo progetto dalle chiare e ruspanti connotazioni rock ‘n’ roll.

Il frontman neozelandese, ritratto sulla copertina del disco con la sua chitarra suonata da una catena a mo’ di plettro (o forse intento anche a “spezzare le catene” della musicademmmmerda?) firma la sua terza fatica discografica sulla lunga distanza, “Systems Edge“, uscito a metà novembre e arrivato a un solo anno di distanza dal precedente “Beyond Everything“, entrambi usciti su In The Red Records (e tra l’altro pare che un certo Henry Rollins sia rimasto stregato dall’ascolto della prima versione di BY al punto da suggerire alla stessa In The Red di pubblicare il full length).

Composto (prevalentemente durante il periodo pandemico) suonato, registrato e mixato dallo stesso Dion, e portato in giro per l’Europa con un tour che, recentemente, ha toccato anche l’Italia, “Systems Edge” condensa, in poco più di mezz’ora, tutte le esperienze musicali avute dal classe 1976 di Auckland (ma trapiantato a New York) tra il passato garage rock/punk in Nuova Zelanda (Flying Nun Records, The D4, Nothing At All) che riaffiora nel punk rock scorticato di brani come “Shockwave“, l’opener “Secrets” e in “Rocks on“, marciume a là Jon Spencer (in “I Walk Away” e “Diamond sea“) e il riverbero oscuro del suo recente presente remoto con gli APTBS, soprattutto nei sette minuti di feedback e dissonanze del lancinante noise-blues di “Room with no view” che chiude l’album. Nel mezzo, c’è spazio per il power pop anfetaminizzato di “I don’t mind“, il Downtown NY (indie) rock di “Nikki“, il lo-fi che strizza(va) l’occhio a Ty Segall e Jay Reatard in “Grind me down” e un feeling generale di sporcizia R’N’R che puzza di Stooges, Scientists, cataloghi di Crypt Records, Estrus Records e altre cose belle (cioè lerce).

Un rocker scapestrato e un album che di sicuro non troverete nelle classifiche di ascolto (falsificate dagli stream comprati) sulle piattaforme musicali più cool dell’internet, perciò armatevi – metaforicamente – di catene (e dindini, possibilmente) per sbatterle sul muso delle solite popstar ultramilionarie e dei/delle disagiati/e dell’autotune (e delle migliaia di pecoroni che li seguono, altro emblema dell’involuzione antropologica culturale che sta flagellando il mondo intero) e supportate concretamente le realtà indipendenti.

TRACKLIST

1. Secrets
2. Nikki
3. Diamond Sea
4. I Walk Away
5. Rocks On
6. Shockwave
7. Grind Me Down
8. Straight Down The Middle
9. I Don’t Mind
10. Room With No View

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