“Animambo” è il terzo album dei Djeco, duo toscano math noise che ha iniziato a torturarci le orecchie nel lontano duemilaquindici (“Moseca”) e che, non contento, ha proseguito nella sua opera di disostruzione dei nostri condotti acustici un paio di anni dopo (“Low Battery”).
Quando pensavamo di aver chiuso il discorso con loro, eccoli tornare indomiti e fieri con il loro recentissimo album, ancora una volta in coppia con gli inarrestabili ragazzi di Santa Valvola Records. Il disco esce in questo secondo mese del duemilaventidue nel doppio formato CD (due febbraio) e cassetta (ventidue febbraio), secondo un rituale numerologicamente legato ad un misticismo etrusco che solo i due conoscono e che mai sveleranno. Volendo, potremmo fermarci qui, non dire una parola di più e lasciare che sia la musica a parlare.
Ma, come ben sapete, a noi non piacciono le cose facili, per cui ci addentriamo più che volentieri nei meandri di “Animambo” cercando di capire noi per primi con che cosa abbiamo a che fare, prima ancora che provare a spiegarvelo. La prima cosa che colpisce del disco è senza alcun dubbio “Overture avec passion et force de lucidité”, il pezzo che apre l’album. Quando un gruppo sceglie come apertura un brano di nove minuti (e zero due) ha già fatto capire tutto. Le cose sono chiarissime. Inutile andare a cercare di raccontare un disco che si presenta in questo modo. Chiunque abbia anche solo un accenno di una minima capacità uditiva critica sa perfettamente che cosa troverà in quel dischetto ottico che ha tra le mani e che sta per infilare nello stereo.
I Djeco hanno le idee chiarissime e lo dimostrano proprio con questo che può senza dubbio suonare come un azzardo, vista la durata, mentre invece è il miglior modo per presentarsi a chi ancora non ha avuto la sventura di conoscerli. Basta andare avanti con l’ascolto per avere conferma a questa primissima impressione. L’inconfutabile controprova si ha brano dopo brano, quando si va a formare un quadro di insieme organicamente strutturato secondo una logica follia sonora che appare incontrovertibile.
La grande abilità dei Djeco sta proprio nel riuscire a mettere in pratica (e rendere quindi credibile, tangibile e godibile) quella dissennata scriteriatezza che hanno mentalmente elaborato in fase di “costruzione” del disco. Il tutto è reso ancor più intrigante dal fatto che i Djeco siano stati in grado di dimostrare che non c’è assolutamente bisogno di un esercito di musicisti per realizzare un album “di rottura” che suoni fastidiosamente bene.
Servono le idee chiare e quel tocco di geniale follia che porta ad osare, e a distaccarsi dalle soluzioni armoniche tanto immediate, quanto “facili”. Il loro è un approccio sperimentale che cerca di liberarsi di quegli inutili orpelli stilistici, saturi di elementi prolissi e ridondanti, che spesso appesantiscono album che guardano nella loro stessa direzione.
Nel momento in cui riesci a realizzare un album come “Animambo”, senza risultare fastidiosamente “barocco”, inchiodando l’ascoltatore sul pezzo, non c’è molto altro da aggiungere. Se non che, tra le collaborazioni che vanno ad aggiungere quel tocco naïf al disco, ci piace sottolineare la presenza di Serena Altavilla, reduce da un ottimo album solista, ma soprattutto figura da sempre vicina al mondo di Santa Valvola e alla scena indipendente pratese, con la sua militanza dei Blue Willa e nei Solki.
In chiusura ci preme sottolineare come, guardando a “Animambo”, si evidezia in modo chiaro che si possono, anzi si devono fare le cose in modo serio e professionale, ma al tempo stesso senza prendersi troppo sul serio. Sono proprio elementi come l’ ironia e la voglia di dissacrare tutto ciò che risulta spesso noiosamente rigido quelli che alla lunga fanno la differenza.