Tornano i Drieu , Raggruppamento Musicale Non Solidale, con “Rumorismo nero”, terzo disco nella loro discografia. Come loro costume i Drieu smontano quasi totalmente il loro stile musicale e ne costruiscono un altro quasi ex novo, continuando un discorso che va ben oltre la musica. Volendo definire i generi visitati dal gruppo si potrebbe dire che il primo disco era quasi industrial soprattutto nell’impostazione e nel intarsio musicale, mentre il secondo “Solito stile ostile”, oltre ad essere uno dei migliori dischi usciti nel sottobosco italiano negli ultimi anni, era punk nella visione e nel nichilismo sia musicale che poetico.
In “Rumorismo nero” le tenebre calano velocemente e si impossessano di tutto, come negli anni ottanta dell’elettronica alternativa tedesca e non solo, il disco è pervaso da uno spirito decadente, ossessivo e si passa agevolmente dall’ebm al pop, dalla darkwave e new wave all’elettronica più pompata, il tutto con una cifra abrasiva. Drieu significa essersi profondamente il cazzo delle convenzioni, delle chiese ortodosse che segnano il passo della musica corretta da fare di pari passo con i pasdaran che difendono la rivoluzione del 1977, che oltre a quella non ve ne possono essere altre e che regola tutto, e senza bollino non si va da nessuna parte.
I Drieu bruciano il bollino e le etichette, e continuano a portare avanti un discorso musicale e poetico di una potenza che non esiste più altrove, con musica oscura e realmente punk, ma punk nel senso stretto del termine, ovvero scioccando e stupendo senza dare termini di paragone. I testi sono incredibili come al solito, crudi, minimali e portatori di un doloroso antidoto a queste realtà aliene che stiamo vivendo e che ci portano dritti dritti nello kali yuga dei nostri marciapiedi e dei nostri schermi di silicio. La prima delle sei tracce del disco è “Rumorismo nero”, come spesso accade per i Drieu manifesto programmatico messo al principio del disco a chiarire subito e chi vuole continua. Il testo della canzone è la veste perfetta dei Drieu, “…rumorismo nero crudele ma sincero mentre sprofonda il cielo…” come recita la canzone, un pezzo musicalmente elettronico ma non solo, con giri di basso che da soli meritano l’ascolto. Parole quasi perfette, non c’è nulla di meno e nulla di più e “…nessuno ti consola”.
La seconda traccia comincia con una intro di sintetizzatori ebm e retro da impazzire, radici tedesche di pioggia e grigio, per un pezzo che arriva come una mano che ti soffoca e nel mentre una voce ti racconta la verità, “Applausi al funerale” ha un ritmo incalzante e devasta tutto, soprattutto le nostre fragili sicurezze come l’aperitivo solidale e la pace sociale, scavando a fondo con bassi imponenti e sintetizzatori di cristallo che tagliano la terra e ci mostrano ” …in questo mare di sangue…” che crepare non è un liberi tutti anzi, per uno dei pezzi migliori del disco.
Approdiamo poi a “Tutto questo volere” che parla di quel fuoco che ci brucia dentro al cuore e ci rovina la vita, ovvero quel nostro desiderio “…e siamo facili prede di tutto questo volere…”, dei soldi che dobbiamo fare per prendere il godimento e poi morire, o come il volere sapere tutto; la traccia è quasi pop e fa notare ancora una volta una delle migliori caratteristiche dei Drieu, quella di fare ritornelli che sono pop nel loro entrarti in testa con la voce di Morra, come se fossero sequenze di un film. Il pezzo seguente si intitola “Limonov”, pezzo dedicato a una delle figure artistiche più divisive mai esistite, quella di Eduard Limonov, al quale è stato dedicato recentemente un film biografico.
La canzone dei Drieu è la migliore descrizione possibile, e soprattutto più sincera. di Limonov che era un fascio comunista che distruggeva certezze e fraintendimenti culturali attraverso contraddizioni e conflitto continuo.
Proprio il conflitto continuo è una delle bandiere, forse l’unica, che sventolano i Drieu che aborriscono giustamente la comodità, e nel loro caso la comodità musicale sarebbe stata quella di fare di nuovo gli Erode o paraggi vari, mentre hanno fatto la scelta opposta buttandosi in mezzo alla mischia di questa epoca assurda e violenta. Arriviamo alla penultima “Tutto finisce qui” che parla di noi e della morte, tema caro ai Drieu, e con un ritmo martellante fra new wave e chitarre distorte, ci grida la nostra realtà in bilico e già in fondo al precipizio, siamo cibo per corvi e lupi, ma la nostra società è basata sulla negazione del nostro essere un nulla con un fiocco sopra, e questa traccia parla di tutto ciò e va oltre, in maniera potente e cattiva, non affatto solidale con tamburi finali del destino. Chiude il lavoro ” Quando credi” che segue filologicamente la traccia precedente e parla della polvere che sta alzando questa nostra epoca che prega la distruzione, e quello che abbiamo visto fino ad ora è quasi nulla.
Il tappeto musicale è qualcosa che si avvicina all’industrial come i Godflesh, poi si apre e regala quell’effluvio melodico che solo i Drieu sanno fare, e a metà della canzone c’è un’apertura che sembra il cielo che si apre dopo la distruzione, e chi crede arriva a capire che non è finita ma che è appena cominciata. Questo pezzo è forse la cosa più apocalittica e nera che hanno prodotto i Drieu, che qui diventano quasi neofolk nel sentimento.
I Drieu con ” Rumorismo nero” aggiungono un pezzo molto importante al loro discorso musicale e non solo, una strada unica e mai facile, bisogna mettersi in discussione con loro e non se ne esce affrancati o divertiti, anzi, può anche capitare di avere paura in certi momenti dell’ascolto. soprattutto quando capisci che stanno dicendo la verità senza nascondersi dietro a pose o a sicurezze granitiche stampate sulla sabbia. Musicalmente è un disco molto ricco e con al centro una narrazione ben precisa, che in questo caso si sposta dentro la new wave e l’ebm ma non perde mai la melodia e il proprio dna specifico che pervade sempre i loro lavori.
Ascoltare questo disco è un andare oltre le nostre credenze e il nostro ego, ci si mette a nudo come sotto la pioggia mentre le vene pompano e siamo in ginocchio, non è il fatto che manca la salvezza, ma che manca la nostra supposta grandezza o diversità. Un progetto radicale e radicalmente diverso, per musica non etichettabile, per parole che non volano ma restano.