I Drink To Me sono un trio di Torino (Marco Jacopo Bianchi, Carlo Casalegno e Francesco Serasso) che, dopo parecchi EP autoprodotti e il disco d’esordio “Don’t Panic, Go Organic!”, sono approdati lo scorso anno al loro progetto più maturo, “Brazil”. Sul profilo myspace si definiscono, con un po’ di autoironia, un gruppo ‘post-punk noise avant accazzo’. Di sicuro, con un mix letale di testi che sfiorano spesso il nonsense e melodie allegre e spensierate, qualsiasi esso sia il loro genere musicale, non potrete fare a meno di canticchiare e battere ritmicamente il piede a terra ascoltandoli.
Con Brazil i Drink To Me hanno voluto mantenersi fedeli alla propria visione musicale mostrando, però, una consapevolezza e una maturità del tutto nuove. Ci riconfermano pienamente l’impressione già unanimamente espressa dalla critica musicale fin’ora: sono una delle novità più interessanti della scena indie italiana recente. Brazil si compone di dieci tracce, per un totale di tre quarti d’ora di durata, titolate e cantate in inglese. Una scelta azzeccata: pure il contenuto musicale dei brani infatti suona molto internazionale e, ignorando le origini italiche del gruppo, non sarebbe difficile scambiarli per una delle tante ‘next big thing’ londinesi.
Il disco si presenta, anche visivamente, in modo fresco e divertente: sulla copertina del cd, sbiaditi panorami di montagne innevate fanno da sfondo a geometrie colorate sui toni del rosa e dell’azzurro. Pure il booklet è quasi completamente occupato da foto psichedeliche pasticciate (alcune dello stesso batterista e bassista Francesco Serasso), solo le ultime pagine sono dedicate ai testi e ai ringraziamenti. L’impatto visivo, insomma, rispecchia perfettamente quello sonoro: vivace, spensierato e, perché no, anche un po’ psichedelico.
La prima traccia, “Small town”, accoglie l’ascoltatore con lisergiche atmosfere trasognate: la voce è lontana ed echeggiante, il sottofondo elettronico, al contrario, pompante e coinvolgente. In “B1” le sonorità cambiano e si fanno molto più orecchiabili: il ritornello (cantato in francese e inglese) è ripetitivo ed entra facilmente in testa, anche il sottofondo musicale cede ad un tipo di elettronica più danzereccia. Ritornano più distesi ed onirici i toni con “The end of history (America)”: i veri protagonisti del brano diventano i lyrics che, pur sfiorando l’assurdo, non peccano mai di banalità (‘now even Marx is dead, choked by a chewing gum, poor man’). Segue uno dei pezzi più orecchiabili di tutto il disco, non a caso scelto dal gruppo stesso per un promo apparso su YouTube lo scorso anno, “Amazing tunes”. Provocatoriamente, sembra voler suggerire una possibile chiave di lettura dei Drink To Me (‘listen to these amazing tunes, not the words, nor the lyrics. Just listen to these tunes’). “David’s hole”, con le sue atmosfere nostalgiche e le melodie sghembe, strizza l’occhio a molte band del Regno Unito degli ultimi anni, sicuramente uno dei brani più riusciti del disco. “A stain in the city” suona come una voce fuori dal coro in mezzo alle altre tracce: è uno dei brani più malinconici e impegnati (soprattutto nel testo) e le sonorità fanno tornare indietro con la mente all’elettronica anni ’90. “B9” riprende, nel titolo e nelle sonorità, la seconda traccia dell’album, “B1”. Più volte all’interno del pezzo viene ripetuta la parola ‘Brazil’, seguita dal tipico tema del carnevale di Rio fischiettato. Viene il sospetto che quelle due B stiano per Brazil, come se le due tracce possano essere considerate una titletrack sdoppiata (in modo molto originale). Come il gruppo stesso ci ha spiegato, quando li abbiamo intervistati, questa è una verità parziale: mentre il disco era in produzione tutti i pezzi si chiamavano B-qualcosa e per questi due pezzi il gruppo ha deciso di lasciare la denominazione originale. Segue “Black Friday”: una voce distorta e strascicata canta della Grande Depressione del 1929 ed è accompagnata da un sottofondo musicale vario, che spazia dalla già trovata elettronica al reggeaton. In “We are human beings” la serietà del testo stride fortemente con l’allegria delle melodie. I lyrics, infatti, sono tra i più esistenzialisti e pessimisti (‘sometimes life’s an endless torture, it seems there is no way out but in the end you must consider this: you are a human being’) ma la soluzione che i Drink To Me propongono per questo montaliano male di vivere è semplice: ‘you must…you must dance!’. Del tutto particolare il tocco finale del disco, “Paul & Kate”: parte in sordina per poi ripetere, al limite dell’ossessività, la stessa frase (‘this is the end, the Dark Age is coming’). Un tono fortemente pessimistico, insomma, stemperato efficacemente però dalle sonorità allegre e da un barlume di speranza nel finale (‘But Paul and Kate don’t wanna hear about it. They smile, they’re making a lot of projects’).
In conclusione, Brazil potrebbe essere benissimo la colonna sonora della vostra estate e riuscirebbe a riempire adeguatamente qualsiasi situazione: dal pomeriggio in spiaggia, alla serata scatenata, alla domenica mattina dopo un sabato da non dimenticare (ma di cui non si conserva molta memoria). Dopo un disco come questo, cresce maggiormente l’interesse per i Drink To Me che, ora più che mai, meritano di essere annoverati tra le novità più interessanti del nostro paese.
01 Small Town
02 B1
03 The End of History (America)
04 Amazing Tunes
05 David’s Hole
06 A Stain in the City
07 B9
08 Black Friday
09 We’re Human Beings
10 Paul & Kate