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Recensione : ESCAPE-ISM – Charge of the love brigade

ESCAPE-ISM: Scopri Ian Svenonius, l'icona della controcultura underground americana, nato nel 1968, maestro di provocazione e ribellione.

Ian Svenonius è un’icona e colonna portante della controcultura meno allineata e dell’underground statunitensi, è nato a Chicago nell’anno di grazia (rivoltoso e rivoluzionario) 1968, ed è uno degli agitatori più imprevedibili e “borderline” degli ultimi quarant’anni. Un dandy dei bassifondi, da sempre lontano dai riflettori del mainstream (a cui ha sempre contrapposto il suo agire all’interno di sottoculture) che nel corso dei decenni ha scelto e utilizzato, per la sua parabola musicale e culturale, la strada di un’attitudine politico-esistenziale imperniata sull’arma della provocazione a tutto campo, declinata in termini fortemente sarcastici e teatrali. Nei testi dei suoi libri, saggi e canzoni propugna una “ortodossia obliqua” in cui confluiscono situazionismo, marxismo, anarchismo e schegge di avanguardie storiche, il tutto declamato alla maniera delle sceneggiate grottesche dei Pere Ubu e/o delle salmodiate apocalittiche dei Bad Seeds del primo Nick Cave.

Stabilitosi a Washington D.C. , nel 1988 il nostro ha fondato i Nation of Ulysses, ossia una via di mezzo tra una band e una sorta di collettivo sovversivo, concepito come un partito politico che incideva dischi (di cui l’esordio intitolato, espressamente, “13-Point Program To Destroy America“, tanto per gradire) che mischiavano punk, hardcore, noise, jazz e soul, e utilizzati come “armi” volte a destabilizzare l’establishment artistico e sociale yankee, esperienza che poi, una volta conclusasi, lo portò a dare vita, a metà dei Nineties, ai Make-Up, progetto nato per contrastare il paradigma machista, borghese e capitalista di tanto rock ‘n’ roll “bianco” e del pop da classifica, proponendo una miscela di sonorità garage/post-punk/soul ribattezzata “gospel ye-ye” con intenti anticommerciali. Finita anche questa avventura, arriviamo alla sua creatura più recente e attuale, ESCAPE-ISM (un moniker che prende il nome da un brano di James Brown) che vede Svenonius nelle vesti di frontman, polistrumentista e mattatore (e anche videomaker) coadiuvato da Sandi Denton (aka Sandy Sideways) al basso, cori e percussioni, e fautore di un minimalismo sonico devoto ai Suicide, che su disco e sui palchi fonde l’elettronica lo-fi delle drum machine con sferzate di chitarre elettrica, testi e stream of consciousness in cui convivono predicozzi, provocazione, seduzione, sacralità e peccato, denuncia socio-politica e redenzione, autentici marchi di fabbrica di questo genio anarcoide, un po’ Alan Vega, un po’ Wayne Kramer, un po’ Ned Ludd (del mondo digitalizzato).

Musica, scrittura, cinema: colto e anti-intellettualistico allo stesso tempo, Svenonius combina immaginari estremisti con una attitudine musicale selvaggia ispirata dal free jazz, dal Detroit sound, dal punk inglese e dalla scena newyorkese del CBGB in cui germogliò il primissimo punk rock (soprattutto il terrorismo sonoro e concettuale dei summenzionati Suicide) il tutto espresso con movenze da istrione consumato, e vocals sgraziate e veementi da predicatore carismatico e ipnotico, efficaci e pungenti.

Ringraziando, per il papiro di presentazione, un preziosissimo minidocumentario italiano che ha sintetizzato alla perfezione l’essenza a tutto tondo di Ian (fornendo numerosi spunti, a chi vi scrive, per introdurre il personaggio) arriviamo al nuovo album pubblicato da Svenonius come ESCAPE-ISM, “Charge of the Love Brigade” (di fatto, il quinto complessivo, tra cui uno completamente silente, del proprio percorso) uscito il 14 Febbraio su Radical Elite Records, definito dal diretto interessato un “NO NONSENSE BEATMACHINEFUZZOSOPHICAL ROCKER“, e si propone, secondo l’iperbolico frasario rivoluzionario di Svenonius di “creare un nuovo alfabeto del suono, riformando scale tradizionali e note per rovesciare le convenzioni, per la distruzione della società borghese e fomentare la rivolta della musica contro il suo ruolo odierno di spettacolo da baraccone mercificato“.

Il long playing è composto da dieci brani in cui il nostro crooner sui generis continua a muoversi lungo algidi sentieri elettronici infettati di rumorismo elettrico (nel singolo “Black gold“, “If you feel like rockin’“) rockabilly Veghiani (“The rebel outlaw“) caos controllato (“Rock ‘n’ roll man“, le due “Beneath the underground“, “Fire in Malibu“) e brani esplicitamente Suicide oriented, giusto un po’ più disciplinati (“Last of the sellouts“, la title track, “One of the greats“).

Nel giorno di san Valentino (altra festa consumistica della minchia, che banalizza e mercifica l’ammmore) è sbucato fuori “Charge of the love brigade“, l’inno nazionale della “No” generation, come lo ha ribattezzato Svenonius, vandalo musicale che si fa beffe del mondo umano del mercato discografico delle multinazionali realizzando un disco che possa superare le convenzioni dell’ascolto tradizionale per essere recepito e goduto anche da flora, fauna e rocce. Se di amore si deve trattare, che almeno preservi l’underground e la battaglia controculturale portata avanti da ESCAPE-ISM.

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