“Soppresso il primo treno
verso nord. Motivo: una frana
che incombe sui binari
(…).”
Questo non è un trafiletto di cronaca locale – per quanto potrebbe benissimo esserlo, soprattutto di questi giorni – ma è l’incipit della poesia Annuncio ai viaggiatori a cui tocca il compito di aprire la nuova raccolta poetica di Fabio Pusterla, Argéman. La quotidianità, a quanto pare, può e deve farsi poesia: e, d’altra parte, la poesia può ancora vivere esclusivamente per sé stessa? Pusterla, in linea con gran parte della poesia italiana novecentesca, fa partire le proprie riflessioni dagli accadimenti che costellano l’esperienza di vita dell’autore, sia da quelli che lo interessano direttamente, sia da quelli minimi, invisibili per chi non ha voglia di fermarsi ad osservare la natura. Questi sono i due poli attorno ai quali si sviluppa la raccolta: da una parte la mondanità dell’uomo, dall’altra l’eterno respiro della natura, che per quanto apparentemente lungo e sommesso, appare estremamente vitale.
L’uomo e il mondo, dunque, e se il primo è troppo intento a dare giudizi definitivi sul prossimo (Rappresentazioni del signor nessuno), il secondo è capace, con i suoi paesaggi maestosi e sinestetici (nella prosa lirica dell’Uertsch), di rivelare il bello, ciò che l’uomo nella sua limitatezza tende a precludersi.
Alle volte, poi, la natura oltre al bello rivela il vero per epifanie, e sarebbe inutile dilungarsi su quanto questo tema sia stato già sviluppato nel secolo scorso. Eppure Pusterla non si accontenta del sole che squarcia la nebbia, perché si chiede: “Ma basta, poi?” (Nebbia).
Le influenze più evidenti sono quelle di Montale e Sereni. Il grande poeta lombardo, che viene apertamente citato (Settimana dell’ombra, Nebbia), sapeva bene come il vivere sulla frontiera disponga l’animo del poeta in una certa maniera. Sereni nacque a Luino, Pusterla a Mendrisio: entrambi paesi di confine, appunto. Le influenze sono evidenti e dichiarate, e succede che alcuni versi sembrino sin troppo ricalcati sui modelli citati; altre volte, invece, Pusterla riesce ad ottenere una sua firma d’originalità, soprattutto quando, sganciandosi dalla dimensione propriamente poetica della metafora, coglie peculiarità e stralci di conversazione di persone semplici, a-poetiche, da cui però si possono trarre interessanti spunti di riflessioni per mimesi o per distacco.
Pusterla è un poeta che accenna e che non traccia linee ferme. Non a caso, il simbolo della raccolta è la libellula, creatura leggera, diafana, che sa di apparizione. In Posto di Frontiera, l’autore ci offre un assaggio della sua poetica:
“Ora però dovrei dirgli che invece
purtroppo io sono uno che annota
principalmente dei versi,
cose strane che incontro sul cammino,
affioramenti di voce che non so
quasi mai dove portino
(…).”
Argéman, che raccoglie le poesie scritte dall’autore tra il 2010 e il 2014, è un libro consigliabile a chi alla poesia è già avvezzo. Fabio Pusterla non è infatti uno sprovveduto: la sua è ormai una carriera decennale, e numerose sono le raccolte poetiche da lui pubblicate (e altrettanto numerosi i riconoscimenti ottenuti). Chi si avvicinerà al libro con gli strumenti giusti saprà dunque riconoscere da sé le zone d’ombra e quelle di luce.
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