I Fabrik Fabrik sono tedeschi. Si formano con brandelli di Bomb Out!, Nervous ed Henry Fonda, quest’ultima band HC/powerviolence che più figlia di D.R.I. e Society System Decontrol non poteva essere: la copertina del loro LP Deutschland, Du Täter! del 2013 è campionessa d’eloquenza.
Il mood generale del lavoro in oggetto piega però un po’ diversamente, riapplicando la stolidità dell’hardcore punk nordamericano in pezzi che sono cavalcate, flussi poco spigolosi ed apocalitticamente guidati da chitarre impetuose e monolitiche, suonate come l’equivalente di una crisi isterica nella quale si fa a pezzi la propria stanza fra le bestemmie.
Beninteso: a noi la cosa piace tanto. Il fatto che quel retaggio abbia ormai i suoi trent’anni non significa necessariamente che sia fuori tempo massimo; nel corso degli anni ha anzi subito un’eccessiva modernizzazione che l’ha snaturato, in più casi conducendolo all’istupidimento e rendendolo colpevole di realtà come gli Avenged Sevenfold piuttosto che gli Used, per buttar così due nomi. Spero che qualcuno si sia preso la briga di fare pat pat sul capo a Guy Picciotto assicurandogli che non è colpa sua.
Le originali accezioni melodico-squilibranti del genere emo, giusto per chiarire, rappresentavano l’hardcore immediatamente post-puberale che mostrava il fianco, un nervo scoperto che mandava in fibrillazione la carica musicale (già enfatica all’estremo); quelle band affrescavano legittime pulsioni di periferia che andavano sfogate -i lamenti intimi e le frustrazioni sgolate del giovane in preda al tedio d’una condizione sociale castrante, triviale- e che oggi si risolvono in serenate distorte al miele o in machismi che mai dovrebbero uscire tra i solchi di un disco emocore.
In Fabrik Fabrik, debutto omonimo, la voce esce monolitica e un po’ pedante dopo qualche ascolto ma veicolata bene quando gli strumenti decidono di premere a manetta sul volume del loro stile naif, concedendo poco alle indulgenze melodiche; per capirci è un LP da spararsi, caricati a dovere, con un amico e due rosse da sessantasei. Esempio: la traccia 5, Nägel mit Köpfen. E’ uno dei momenti più rompiscatole. Ad un certo punto ci si accorge di battere la mano alla gamba, qua e là, durante brevi momenti del pezzo. Muta da un melodico che ricorda da lontano dei Drive Like Jehu sbraitati e meno inventivi e poi ti vien voglia di scassare tutto perché arrivano shakerati gli Helmet, i Neurosis. E poi ricade.
Devo dire che l’ultima (Der Tod ist ein Meister aus Deutschland), una cover degli Slime, ha un attacco d’impatto.
Complessivamente i pezzi non si trascinano pigri d’idee, il gruppo è stato oculato nel gestire i tempi di un impasto musicale che, se protratto troppo a lungo e non adeguatamente spigoloso, risulterebbe sfiancante alla fine dei giochi: impasto sufficiente come terreno sul quale seminare idee future magari più ardite.
Mi ricordo di Peter Steele che diceva: “Penso che chiunque abbia un opinione e la professa a voce alta, offende qualcuno”. L’album chiude con una frase che m’avrebbe fatto piacere sapere cosa dicesse, soprattutto perché il gruppo, proclamatosi lucido analizzatore dello status quo, avrebbe probabilmente da offrire su certi aspetti di un paese fin troppo trincerato in sé stesso sulla sua politica interna e sui suoi demoni.
TRACKLIST
1. Alles ist Fabrik
2. Modell
3. In Bahnen
4. Fieber
5. Nägel mit Köpfen
6. Letzter Marsch
7. Moralspirale
8. Kein Wort
9. Der Tod ist ein Meister aus Deutschland
LINE-UP
Matti
Max
Paul
Simon
https://fabrikfabrik.bandcamp.com/releases