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Federico Ovunque Di Daniele Vecchi

La storia di Federico Aldrovandi (1987-2005) la conosciamo tutti. Chi in maniera più dettagliata, chi per sentito dire. Sta di fatto che il volto del ragazzo emiliano lo abbiamo ben impresso in mente.

FEDERICO OVUNQUE di DAVIDE VECCHI
FEDERICO OVUNQUE di DAVIDE VECCHI

La storia di Federico Aldrovandi (1987-2005) la conosciamo tutti. Chi in maniera più dettagliata, chi per sentito dire. Sta di fatto che il volto del ragazzo emiliano lo abbiamo ben impresso in mente. Non possiamo non averlo visto negli ultimi 15 anni. Anche non volendo ci siamo imbattuti nel suo sguardo. Nello sguardo di un ragazzo di diciotto anni che suo malgrado è diventato un simbolo. E che lo resterà per sempre. Come monito, per noi che lo abbiamo “vissuto” e per le generazioni future che non potranno non tenere conto di lui e della sua triste e tragica storia.

Su Federico si è detto e si è scritto molto. Ma quando ci si trova davanti a situazioni assurde come quella che ha lo ha coinvolto, strappandogli la vita prematuramente, è bene non abbassare mai la guardia. E continuare a parlarne, a raccontare. Per tramandare una storia che è realtà e come tale deve essere ricordata. Qui non ci sono artifici narrativi volti a portare la ragione da una parte anziché dall’altra. C’è solo da ascoltare in silenzio il racconto di una vita tranciata in modo brutale da chi la vita dovrebbe proteggerla dal momento che è pagato proprio per questo.

Per cui ben vengano iniziative editoriali come questa della Red Star Press, che nella sua collana Hellnation libri, ha dato alle stampe “Federico Ovunque”. Per non dimenticare e per ribadire che tutto quello che è accaduto potrebbe capitare nuovamente, e a chiunque di noi. Nessuno escluso. Anche a voi che state leggendo.

Iniziative che, come ricorda il padre di Federico in apertura, aiutano a vivere “in un mondo dove molte cose vanno al contrario, e dove troppe volte le versioni ufficiali non coincidono con la realtà dei fatti, dove resta accesa una luce che non si affievolisce mai. Sono iniziative meravigliose che, concedetemelo, sanno di vita e di amore, e sono luce per chi resta. Nel fango e nella melma di un mondo che non sa crescere, sono piccole gocce di rugiada sempre capaci di darci speranza.”
Quello che la storia ha detto e che nessuno potrà mai smentire è che Federico Aldrovandi è stato ucciso il 25 settembre del 2005 in via Ippodromo a Ferrara, da Luca Pollastri, Enzo Pontani, Monica Segatto e Paolo Forlani, quattro poliziotti attualmente ancora in servizio, durante un normale fermo di polizia. Ucciso a botte e finito con un’asfissia da posizione (determinata dallo schiacciamento del torace a terra dalle ginocchia dei poliziotti) con conseguente insufficienza miocardica contrattile acuta da mancato afflusso. Tutto il resto non conta. È un omicidio.

Potete fare finta di niente e girarvi dall’altra parte, ma di questo si tratta. Il tutto condito dalla macchina del fango che cerca di screditare il morto per giustificare e celare le malefatte di regime. Ormai è chiaro a tutti noi che abbiamo perso e dimenticato l’età dell’innocenza, che la verità fa paura, e quanto più si muove la macchina della censura (che sostituisce cronologicamente quella del fango) tanto più si è vicini alla verità.

Lo sdegno che emerge dalla lettura esalta la percezione di una sorta di impunità di stato, che si scatena tutte le volte in cui assistiamo all’oscena rappresentazione di chi dovrebbe tutelare i cittadini ma in realtà finisce solo per tutelare se stesso, come organo al di sopra delle parti, aiutata da insabbiamenti di ogni tipo e ad ogni livello. Al punto che, chi al tempo difese Federico e la sua integrità di essere umano, lottando per la verità, è stato costretto a subire vere e proprie gogne mediatiche, arrivando persino a vedersi voltare le spalle dagli amici di una vita.

Ciò che disgusta e tende a smorzare le idee di cambiamento di cui tutti ci riempiamo la bocca ma che poi teniamo troppo lontane dai nostri cuori, è la tendenza troppo diffusa da parte di quella che l’autore chiama “maggioranza silenziosa” a prendere sempre e comunque per buona la versione ufficiale degli eventi, che “stranamente” coincide sempre con la versione più comoda per l’apparato statale. Come se in fondo temessimo quel cambiamento che in pubblico auspichiamo.
“Se gli ultras supportano questa causa, allora vuol dire che Federico Aldrovandi era pure lui un ultras o un facinoroso o un tossico o un ubriaco molesto o comunque uno che alla fine se l’è andata a cercare… un pensiero che, tra una base borghese vecchia maniera e conservatrice fino al midollo, serpeggia ancora oggi – Per una mente sensibile, aperta, informata e con una determinata idea di libertà di espressione e di pensiero, una teoria di questo tipo risulta irreversibilmente assurda, retrograda, bacchettona e totalmente fuori dal tempo. I reietti che prendono le parti delle vittime. Oppressi che si uniscono. Storia che si ripete da secoli e millenni, l’infinita lotta tra i poteri forti e il popolo oppresso, tra l’egoismo e l’altruismo, tra il canonico e il diverso. Il diverso va emarginato, allontanato, anche con la forza, internato o soppresso, se necessario. È questo che accade fin dalla notte dei tempi. La ricerca a tutti i costi dell’omologazione, la cancellazione coatta della diversità, dell’annullamento delle sfumature non consone, sono pratiche che inevitabilmente portano ai sotterfugi, alle menzogne e agli insabbiamenti. E incidentalmente alimentano l’indifferenza e l’insensibilità. Per questo la morte di Federico è stata fatta passare come una morte di categoria inferiore.”

Ben vengano dunque le iniziative che sorgono spontaneamente come quelle degli ultras, che spinti da un sentimento di fratellanza, e di giustizia si ergono a protagonisti, e riescono a trascinare la comunità sostituendosi alla politica. L’unica pecca per quello che mi riguarda è che la mia ex-curva non ha mai dato segno di vicinanza alla vicenda, ma è anche vero che se come dico sempre “la curva è lo spaccato più sincero ed immediato per capire una città e la società” non potevo aspettarmi altro che quel silenzio che ha accompagnato gli eventi raccontati nel libro. Con la scusa di essere “apolitici” ci siamo sempre chiamati fuori da tutte le questioni sociali e culturali, diventando a nostra volta il manifesto del qualunquismo cittadino che ho da sempre combattuto e che mi ha allontanato dalla curva, dallo stadio, dal calcio e non ultimo dalla città stessa.

In chiusura mi sento di dover precisare che la percezione ultima che mi resta addosso nel momento in cui concludo la lettura sia quella di un eccesso di difesa del mondo ultras. Si finisce per mitizzare troppo la figura dell’ultras in quanto ribelle e paladino della giustizia, mentre viene a mancare un’analisi sulla figura della madre, vera artefice del processo di diffusione della vicenda. È la madre ad essere predominante nella vicenda, non fosse altro che per gli insulti, le minaccie, le denunce e le umiliazioni cui è stata costretta, tipo la manifestazione della polizia sotto agli uffici dove lavora. Senza scordare l’onnipresente ed indesiderata intrusione del personaggio più squallido della storia politica del dopoguerra italiano (leggasi tale Giovanardi Carlo Amedeo).

Io parlo da ex ultras e quindi senza sentirmi particolarmente chiamato in causa dalla narrazione, ma non per questo non posso esimermi dal chiedermi perché il movimento ultras che si sente alieno al “calcio moderno” non lascia lo stadio e prosegue le sue lotte altrove?

Tanto non le fa perché chiuso dentro una curva ma perché crede davvero in ciò per cui lotta, per cui si espone, o no?

Chiudo tornando sullo sguardo di Federico con cui ho aperto. Il suo ormai è un simbolo generazionale. E le magliette con il suo volto saranno appese vicino a quelle di Che Guevara, Bob Marley e Jim Morrison.

Fatevene una ragione, Federico è davvero ovunque.

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2 risposte

  1. recensione molto bella e puntuale. il nodo penso che sia l’impunità che garantiscono ai tutori dell’ordine che delinquono e sono tanti. a volte ci si potrebbe risparmiare i processi tanto poi rimangono impuniti. il mondo ultra’ è un mondo contraddittorio dove tutto è il contrario di tutto, dove c’è chi fa affari e chi la vive in maniera solidale. come la sorella di Stefano Cucchi la mamma di Federico ha lottato con forza, emblematica l’immagine dei poliziotti ad un gazebo che la deridevano. La cosiddetta maggioranza silenziosa dovrebbe capire da queste vicende che ci sono persone che non ci proteggono ma che anzi sono lì per spaventare e fare male quando possibile. Federico grazie alla lotta della famiglia e della gente è diventato un’icona e lui rimarrà. Mentre di Luca Pollastri, Enzo Pontani, Monica Segatto e Paolo Forlani rimarrà un gran odore di morte e di schifo.

  2. massimo sono d’accordissimo con te. su tutta la linea. donne come la mamma di federico e la sorella di stefano sono esemplari, ma aggiungerei anche uomini come il padre di gabriele sandri, mai sopra le righe nonostante tutto. gli esempi da cui trarre insegnamento ci sono, sta a noi farne tesoro.

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