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Recensione : Fire! – You Liked Me Five Minutes Ago!

Fire! - You Liked Me Five Minutes Ago!: (RUNE Grammophon 2009) Nessuno si stupisca dei Fire! (punteggiatura originale). Un supergruppo che non potrebbe avere al...

(RUNE Grammophon 2009) Nessuno si stupisca dei Fire! (punteggiatura originale). Un supergruppo che non potrebbe avere altra collocazione se non quella dell’olimpo della musica di nicchia. Musica per poche orecchie, che fa intellettuale, che distingue. E se al free-jazz sembrano appartenere le prime note di questo You liked me five minutes ago, certo è che una massiccia dose di autocompiacimento la si possa trovare soprattutto nella biografia dei suoi componenti, ognuno, per certi versi militante in esperienze di confine, poco accessibili proprio come il free, considerato non a caso la “musica del fuoco” per la stessa anarchia che le fiamme di una vampa ardente si arrogano dinanzi alla fisica, essendo devote alle sole leggi del caos.

Bene, è proprio nei bordi che si consuma dunque l’ascolto di questo disco straordinario. Non foss’anche per la sua astratta architettura che dosa in oltre 40 minuti 4 soli pezzi, con suite che oltrepassano il quarto d’ora. Art, avantgarde, nu japanese wave noise, antifolk e psichedelia, riempiono il baule di esperienza di una sezione strumentale di prim’ordine qui concettualizzata in funamboliche iperboli sonore di cui il catalogo della norvegese Rune Grammophon dimostra di esserne irrimediabilmente intriso.

Oltre al saxofonista Mats Gustafsson (che per l’occasione siede persino dietro un Fender Rhodes) e che ha già impiastricciato con mezzo mondo (Sonic Youth, Merzbow, Barry Guy, Peter Brotzmann, tra gli altri) due genialoidi della new swedish wave: Johan Bertling, già bassista dei Tape e fondatore della Hapna Records e (udite! udite!) il talentuoso venticinquenne Andreas Werliin, batterista dei Wildbirds & Peacedrums (oltre ASS e gli eccellenti Loney, Dear).
Non credo pertanto che un conciliabolo propedeutico dei tre abbia di certo anelato a vendere i propri dischi negli ameni stands di un autogrill. Non credo neanche che logge di appassionati fans si accalcheranno ai loro gigs ma credo fermamente all’ondata di mutazione musicale che il nordeuropea sta, da qualche anno ormai, rendendo comunque accessibile anche al grande pubblico.
Consumo i denti a forza di digrignarli nel cercare di seguire il filo conduttore nelle parentesi centrifughe del sax di Gustafsson che adesso mi sembra elucubrare le melodie del chitarrista Sonny Sharrock, ancora ripercorrere pedissequamente il genio e la sregolatezza di Albert Ayler e Chrles Gayle, due primati che proprio in Svezia hanno piantato fronzoli ed orpelli del loro ottone (il primo per averci vissuto, il secondo per averci inciso più di qualche disco), per cui non mi è difficile sviscerarne taluna aderenza, ma è comunque una forzatura, visto che Mats&soci restano comunque unici.

Miriam Wallentin (compagna nei W&P olte che nella vita di Werliin) figura come guest-voice per But sometimes I am ma qui in veste ancora più sperimentale rispetto al gruppo di provenienza e Werliin dimostra quanto facondo sia il suo drumming. Vagheggiate i Can somministrare protossido di azoto a John Coltrane. Il resto è pura immaginazione.

Avvertenze prima dell’ascolto: allargare mente e padiglioni auricolari; non diffidare (sempre e comunque) delle superjam; assaporare con moderazione.

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