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Recensione : Funerale – L’inferno Degli Angeli Appiccati

Il disco ha dalla sua quella patina di viscido e caliginoso anacronismo tale da renderlo, a suo modo, piuttosto affascinante, e passare sopra a certe imperfezioni può essere comunque più semplice per chi è del tutto a suo agio con queste sonorità.

Come ho già detto a proposito della quasi omonima band norvegese, scegliere Funerale come proprio monicker per dedicarsi al genere corrispondente può rivelarsi controproducente. Solo ad una band chiamata Death è riuscita l’impresa di identificarsi in maniera indelebile con un movimento musicale, ma questa è tutta un’altra storia.

Quella che ci interessa è invece relativa ai savonesi Funerale, nati nel 2011 dall’incontro di diversi musicisti coinvolti in progetti di matrice per lo più black metal, ma decisi a svoltare verso sonorità più plumbee adottando, così, un nome che non potesse lasciare alcun margine di dubbio.
Dopo un primo lavoro più conforme alla ragione sociale, l’album oggetto della recensione, uscito nel 2013, acquista umori diversi ondeggiando tra post metal e depressive, spostandosi in maniera abbastanza decisa dalle sonorità funeral cosi come siamo abituati a conoscerle.
L’inferno degli angeli appiccati è un album non privo di un suo fascino ma paga dazio ad una realizzazione minimale per arrangiamenti e produzione; l’uso della voce, accettabile ed appropriato quando è recitata o, comunque, semi-pulita, non è altezza delle uscite odierne nel momento in cui entra in scena un growl rantolante ma troppo piatto.
Peccato, perché i testi di Lev Byleth non sono affatto banali ma se, da una parte, la scelta di cimentarsi con la lingua italiana paga dal punto di vista di una comprensione immediata, dall’altra costringe il vocalist a forzature metriche non sempre efficaci.
Il disco comunque ha dalla sua quella patina di viscido e caliginoso anacronismo tale da renderlo, a suo modo, piuttosto affascinante, e passare sopra a certe imperfezioni può essere comunque più semplice per chi è del tutto a suo agio con queste sonorità.
Le cose sembrano funzionare meglio nei brani in cui si sceglie la strada di un sound più evocativo ed intimista (La ballata dell’odio) oppure allorchè l’influsso di una delle migliori band dei nostri tempi, gli Agalloch, si percepisce in maniera più decisa (L’inferno degli angeli appiccati).
Le sfumature depressive appaiono altresì valide, anche se si manifestano in maniera intermittente rendendo parzialmente disomogeneo il risultato d’insieme.
Infine, risulta coraggiosa e tutto sommato riuscita la “funeralizzazione” di una hit come Enjoy The Silence dei Depeche Mode.
Tirando le somme, questo album mostra diversi spunti apprezzabili ma è afflitto da altrettante approssimazioni che, quanto meno, depongono a favore di ampi margini di miglioramento da parte della band ligure; il fatto stesso che il lavoro risalga ormai a due anni fa, porta a pensare concretamente che una prossima uscita possa mostrare in maniera decisa quei passi avanti in grado di assecondare al meglio le buone intuizioni già messe sul piatto in quest’occasione.

Tracklist:
1. Cime abissali
2. L’inferno degli angeli appiccati
3. L’uomo solitario
4. La valle dei tumuli
5. La ballata dell’oblio
6. Spettri nella nebbia
7. Brezza dall’ignoto
8. L’ultimo solstizio
9. Anima condannata
10. Enjoy the Silence (Depeche Mode cover)

Line-up:
Knays – Bass
Lord Edward – Guitars
Deymous – Guitars
Lev Byleth – Guitars, Vocals

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