C’è chi vive in tenda, chi in un edificio senza riscaldamento. I meno fortunati trovano un muro semi sicuro lungo la strada, costruiscono una struttura di legno e appoggiano sopra delle lenzuola come pareti. Tutti sono senza acqua corrente, senza bagno, senza cibo, senza abbastanza vestiti caldi, senza le medicine necessarie. Ci sono bimbi piccoli, alcuni piccolissimi, appena nati, donne incinte, anziani, malati, uomini e donne di ogni età.
No, la situazione non è cambiata rispetto a questa estate, se possibile è peggiorata.
Perché, è vero, ad agosto in tenda fa un caldo assurdo, ma a gennaio in una tenda fatta di lenzuola e con il vento gelido che viaggia a 20 km/h accompagnato da pioggia consistente, non si può proprio stare e si rischia di essere spazzati via.
Si è forse impressionato il mondo intero alla notizia dei 4 neonati morti per ipotermia nelle tende tra Natale e Santo Stefano?
Qualcuno, nel settore dell’informazione, si è sentito male dopo aver saputo dell’uccisione di 5 giornalisti, bruciati vivi in un furgone che riportava chiaramente la scritta PRESS?
Qualche giornalista italiano ha urlato pubblicamente il suo sdegno? E l’urlo, se mai ci fosse stato, è arrivato fino a Gaza?
No vero? Niente di tutto questo è successo.
Finalmente i primi di gennaio iniziano ad arrivare delle timide notizie sulla possibilità che gli accordi, questa volta, potrebbero andare a buon fine. Ma si sa, Israele ci ha insegnato e lo fa ogni giorno, a non credergli mai. Noi qui speriamo, loro da laggiù mi dicono: “finchè non riuscirò a tornare al nord, a tornare a casa mia, anche se dovesse essere un cumulo di macerie, non mi sentirò tranquillo, solo allora potrò riposare”.
E’ Mercoledì 15 gennaio 2025 su youtube la tv di Al-Jazeera scandisce il tempo. E’ ufficiale, Hamas e Israele hanno raggiunto un accordo per il cessate il fuoco e la liberazione di decine di ostaggi israeliani in cambio degli ostaggi palestinesi.
La notizia inizia a girare sui media italiani che si ostinano a definire prigionieri quelli detenuti da Israele, ma sono a tutti gli effetti ostaggi.
Torture, umiliazioni, maltrattamenti di ogni tipo come il dover rimanere bendati, ammanettati, e in ginocchio per 45 giorni. Scosse elettriche e cani. Capi d’accusa mai chiari.
Nella maggior parte dei casi non è concesso loro un colloquio con un avvocato, non subiscono un processo. Sono soli. Vengono presi, rapiti, e buttati nel buco nero della macchina della soluzione finale ideata da Israele.
Il cessate il fuoco entrerà in vigore domenica 19 gennaio. Non mancano i festeggiamenti, precoci, a mio avviso, ma comprensibili. Si sfogano, hanno voglia di ridere, di ballare, di piangere di gioia. Tre giorni separano l’inferno dalla sua fine, almeno è quello che si spera. Iniziano ad arrivare i primi messaggi dopo la dichiarazione e sono tutti uguali: “i prossimi giorni saranno i peggiori, i più violenti”. Su questo Israele non si smentisce mai, se pensi di aver visto tutto, ecco che riesce a spostare il limite al male sempre un pochino più in là.
Purtroppo solo i numeri, accompagnati dalle fotografie, danno un chiaro quadro della situazione vissuta dalla popolazione di Gaza. I dati sono forniti da Romana Rubeo, managing editor per The Palestine Chronicle.
Ad oggi 61.709 mila morti accertati, 47.487 cadaveri recuperati, 14.222 i corpi sotto le macerie.
Tra le vittime 17.881 sono bambini, inclusi 214 neonati. 12.316 le donne. 38.000 sono orfani, 17.000 dei quali orfani di entrambi i genitori. 2.092 famiglie sono state spazzate via, cancellate dall’anagrafe. 4.889 famiglie hanno attualmente solo un membro in vita.
Israele ha ucciso 1.155 operatori medici, 205 giornalisti, 194 operatori di protezione civile, 736 operatori umanitari e 3.500 dipendenti statali.
34 ospedali sono stati messi fuori uso dai bombardamenti a tappeto, 150.000 le unità abitative danneggiate.
I nostri surfisti e le loro famiglie vivono sempre sparsi nel sud di Gaza, chi nell’area di Al-Mawasi Khan Yunis, chi a Deir Al-Balah, altri sono rimasti nella zona di Al-Zawaida.
Come tutto il resto dei gazawi, vivono in tenda o in alloggi di fortuna e soffrono per la mancanza dei beni di prima necessità. Sperano di tornare al nord presto, ma vogliono aspettare qualche giorno dopo il cessate il fuoco.
E’ domenica, Rawand mi manda un vocale. Non sento nessun aereo da ricognizione in sottofondo. Faccio un respiro profondo. Nonostante tutto aspettavo questo momento da oltre un anno.
Da qui in poi i sentimenti iniziano a vivere una sorta di montagne russe.
Ma se mi sento così io, che non ho mai avuto aerei da guerra sopra la testa che cercavano di farmi fuori, come possono stare loro?