Io, si sa, alle cose arrivo spesso in ritardo e sono anche piuttosto riluttante rispetto alle definizioni che racchiudono ciò che amo – in questo caso si parla ovviamente di musica – in angusti steccati.
E’ quindi da poco che sono a conoscenza del termine egg punk (o Devo-core), sul quale sono stato edotto da un notevole ed esaustivo pezzo scritto dal “nostro” Tommaso Salvini per la fanzine Up.
Chissà magari qualcosa all’orecchio mi era pure giunta, qualcosa potrei aver captato ma, fatalmente, se associavo e associo le parole uovo e punk la mia mente va ai miei adorati McRackins. Comunque, dato per assodato che la terminologia in questione è ormai ampiamente in uso, ed è stata a quanto pare coniata ben dodici anni fa (!!!), la band di cui mi accingo a parlarvi si può considerare come una fra le più accreditate tra quelle che a questo tipo di scena fanno riferimento.
Prehistoric Chrome è il nuovo album degli australiani Gee Tee e si compone di diciotto pezzi tutti al di sotto dei due minuti, tutti men che meno riusciti. In scaletta si incontrano filastrocche oblique e sghembe come Drag Race Mag e Fumes In The Breeze, pezzi che definirei power pop per il nuovo millennio, sia pur se eseguiti rigorosamente in bassa fedeltà – ne siano da esempio ABC e Out Tonight, brani “deliziosamente” camp quali Bedrock e Warhead e canzoni nelle quali i nostri dimostrano di aver ottimamente assimilato i precetti della scuola lo-fi anni novanta, vedasi Choppa City Special.
Se, come accennavo all’inizio di queste righe, l’egg punk è anche soprannominato Devo-core la somiglianza fra Girl U Want e Grease ne è lampante dimostrazione; completano il tutto Workin 4 The FBI resa ammaliante della perfetta sinergia di voce (vagamente scazzata) e sintetizzatore, nonché il ritmo ipercinetico di Find The Beat che brucia di vita in poco più di un minuto.
I Gee Tee sono bravi assai, mai banali nella loro semplicità, e i loro dischi hanno sempre belle copertine, particolare per nulla trascurabile. In qualsiasi modo lo si voglia chiamare il suono contenuto in questo Prehistoric Chrome è quanto di più vivo si possa ascoltare di questi tempi, una bella boccata di aria fresca.
Come direbbe Alessandro Borghese: voto 10, vabbè dai facciamo nove.