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Gennaio Duemilaventi Il Re E’ Nudo

GENNAIO DUEMILAVENTI "IL RE E' NUDO": <a hr

CONFESSIONI DI UNA MASCHERA
GENNAIO DUEMILAVENTI
“IL RE E’ NUDO”

Da tempo meditavo una riflessione come questa. Ci sono momenti in cui il ripetersi di determinate situazioni mi crea un disturbo quasi fisico. Parlarne da solo non ha mai portato a nulla, se non al fomentare i miei propositi di estinzione della razza umana. Quale migliore occasione per condividere questo mio paranoico disagio? Teoricamente nessuna, per cui entriamo spediti nell’argomento e vediamo se riesco a finire nell’ennesima lista nera di qualcuno…

Pur non essendo un raffinato e gaudente “viveur” mi ritrovo abbastanza spesso in giro per concerti nonostante la mia poca voglia di uscire che negli anni si sta decisamente accentuando. La mia posizione di megadirettore galattico di Toten Schwan Records mi impone di presenziare quanto più spesso possibile. Sia per le date che vedono coinvolti i progetti legati all’etichetta, che per quelle organizzate da altri, che, come me, cercano di accendere la luce in questi tempi sempre più tristemente bui. Anche perché se sono proprio quelli come noi, che vivono “da dentro” la cosa, a dare l’esempio peggiore, dove vogliamo andare?

E invece è proprio così.

Ai concerti i musicisti sono, ahimè, in grande parte dei veri e propri desaparecidos.
Ci sta che la sfortuna mi perseguiti e che non mi permetta di condividere le mie sortite fuori porta con tutti coloro che nei meandri della rete si dilettano promuovendo la propria musica, ma a dirla tutta, non è che ci sia tutta questa calca di musicisti ai concerti. Oltretutto quei pochi che presenziano lo fanno quasi esclusivamente per autoreferenzialità. Sono lì a promuovere loro stessi. Si fanno vedere puntualissimi, ascoltano un paio di pezzi scuotendo la testa a ritmo, ma poi non resistono e si spostano fuori con la scusa di fumare. Mentre in realtà stanno solo aspettando di diventare le star della serata. Si sentono e si comportano come l’attrazione della serata [dimenticandosi però che non stanno suonando loro ma qualcun altro] e si pavoneggiano all’esterno dei locali con fare onanista portando la propria autostima ai massimi livelli.

Per fortuna però c’è un forte zoccolo duro che resiste a questa smania di egocentrismo spinto. Ci sono un sacco di piccole realtà in cui si rema “in direzione ostinata e contraria”. Non tutto è perduto quindi. Anche se, è bene riflettere sul fenomeno, e non sottovalutare nè i numeri, nè l’impatto di questo pessimo esempio. È noto a tutti come sia più facile seguire i cattivi consigli, che applicarsi per provare a scardinare le consuetudini, e fare quel salto di qualità mentale che a parole auspichiamo da sempre, ma che poi, a conti fatti, vediamo ancora piuttosto lontano.
Non so, pensandoci, se mi infastidisca di più questo atteggiamento, per così dire “distaccato”, da parte di chi dovrebbe stare, sempre e comunque, in prima linea, o quello di chi, non riesce a staccare le mani dal cellulare e, tra una chat di gruppo e un’altra, riprende a caso frammenti di concerto in modo da dimostrare a tutti che “lui c’era”. Come dire: sono peggio gli assenti o i presenti?

Bramo da anni locali schermati, dove i cellulari non abbiano modo di funzionare. Questa sarebbe la vera rivoluzione, non internet in punta di dita ovunque, anche nei paesi più sperduti dell’Africa Centrale dove manca l’acqua potabile, ma hai il 4G. Rivoluzione che resta, oggi più che mai, utopica. In attesa di un qualcuno che possa iniziare la rivolta contro la telefonia mobile, il vero male del secolo appena iniziato. Quale possa essere il senso di riprendere il concerto anzichè goderselo e lasciarsi trasportare / coinvolgere / emozionare, ancora non mi è chiaro.

Ma è davvero così difficile staccare gli occhi dallo schermo luccicante a cui dedichiamo più sguardi che ai nostri figli? A volte penso di essere realmente parte di un altro mondo. Che attenzione, non dico essere migliore perchè “mio”, ma solamente differente. Si tratta infatti, di sentirsi costantemente “fuori luogo”. Non superiori. Sfumatura tanto lieve quanto pesante, guardando alle ipotetiche conseguenze di una interpretazione non corretta. Le parole sono importanti. E mai come in questo caso. Non ci sono posizioni predominanti da cui discriminare, ma solo stupore e incredulità per la strada che la maggioranza ha intrapreso, e che non pare essere intenzionata a lasciare.

Il silenzio con cui mi confronto, nell’incedere costante spinto dalle mie convinzioni, male si sposa con il silente frastuono di tutti quelli che stanno percorrendo la vita in direzione opposta, e che vedo sfilare cellulare alla mano in una marcia tanto ordinata quanto terrificante.

Sta di fatto che la realtà racconta di un mondo sempre più connesso ma sempre più freddo emotivamente. Più distaccato. Più alieno. Non so se la tecnologia sia la maggiore responsabile di questa ecatombe, ma di certo ha giocato un ruolo sostanziale. Davvero, non lo so. Non ho risposte. Mi limito a pormi delle domande. Cosa che in un quotidiano come il nostro credo sia già abbastanza.
Stiamo andando verso la scomparsa della musica nei piccoli locali. Vero polmone del circuito indipendente. Resteranno solo i grandi eventi, dove potremo fare video su video per quei pochi grandi nomi [spesso ottuagenari ricchissimi che celebrano una ribellione in cui nessuno, per loro fortuna, crede, altrimenti sarebbero loro stessi i primi a cadere sotto i colpi di quella rivolta che vanno cantando] che manterrano il monopolio musicale.

Il resto sarà tutto in streaming online, in modo che nessuno debba più uscire di casa e possa tranquillamente partecipare interattivamente, stando comodamente seduto sul suo divano di casa mentre guarda la serie più trendy su Netflix.

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3 risposte

  1. I complimenti al capo della TSR!
    Come tutte le cose la virtù sta nel mezzo, l’importante è ricordarsi di essere connessi col cuore e col cervello, mostrando un interesse fattivo.
    In questo momento leggo larticolo dal telefonino e qualche frammento di concerto mi piace portarlo via, un souvenir, che potrei sempre condividere.
    L’argomento qui esposto mi pare basilare per supportarsi vicendevolmente e creare collegamenti tra artisti magari anche in vista di collaborazioni future. Ed è anche bello per i soli spettatori notare che a sorreggere il circuito indie ci sia anche il circuito stesso.

  2. Oltre a centrare perfettamente il punto Valenti sviluppa benissimo il discorso. il problema, o uno dei tanti, è che oltre ai concerti è cambiato il modo di fruizione della musica. sempre più streaming e maggiore libertà di produrre e di pubblicare un disco hanno permesso una maggiore circolazione che è presto diventata un traffico che immane. escono tantissimi dischi, la qualità è quantomeno opinabile, e ci sono gruppi al primo disco che tartassano la propria etichetta come nemmeno i rolling stone. i concerti sono poi diventati sempre di meno e come dice marco, si passa dal mega show dei pink floyd con il pannolone ad 80 euro, o in mezzo nulla. le realtà autogestite e politicizzate non sono più culle di sperimentazione, per mantenere il bilancio in pari si fanno cose che vanno sul sicuro e non si rischia più. e’ uno scadimento totale che tra ego, qualità bassa ed altro sta impoverendo fortemente la musica. bisogna ricercare, quasi più di prima, l’orientamento personale in un mare fornitissimo. la qualità e la passione sono ancora vive, come dimostra l’etichetta di marco.

  3. c’è la paura di fallire. come se il giudizio altrui, tra l’altro, fosse fondamentale. si dovrebbe cercare di proporre il proprio progetto, indipendentemente da quelle che sono le logiche di mercato, per il semplice gusto di fare esattamente ciò che vogliamo. e invece ci facciamo condizionare costantemente da terze persone. è solo a noi stessi e alla nostra coscienza che dobbiamo rendere conto.
    io non credo di proporre “the next big thing” a livello musicale ma di certo propongo persone (ancor prima che dischi) che fanno della sincerità il proprio credo.

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