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Gianluca Gozzi – Todays Festival

Gianluca Gozzi - Todays Festival: INTERVISTA: GIANLUCA GOZZI - TODAYS FESTIVAL E' estate e siamo nel pieno del meraviglioso ...

INTERVISTA: GIANLUCA GOZZI – TODAYS FESTIVAL

E’ estate e siamo nel pieno del meraviglioso mondo dei festival e rassegne musicali, questi grandi contenitori musicali e di esperienze collaterali sparsi un pò in giro per l’Italia e per il mondo. Ma cosa c’è dietro all’organizzazione di un festival dal punto di vista di costruzione del programma, di obiettivi, di esperienze e pratiche virtuose? E quali sono i “benchmark di successo” di un festival, aldilà della risposta di pubblico?

Ne abbiamo parlato con Gianluca Gozzi, organizzatore del TODAYS Festival, che si terrà a Torino 24-25-26 agosto 2018, in una chiacchierata che vi riportiamo nel seguito sia in formato integrale con audio ascoltabile, e sia in versione sintetica in forma scritta (con qualche piccola licenza di taglia e cuci).

 

D: Dal 2015 ad oggi siamo alla 4° edizione di TODAYS Festival, e mi sembra di poter dire sempre in crescita. Quest’anno una line-up importante e tante iniziative, insomma come avete deciso di buttarvi nella mischia e come è nato e cresciuto TODAYS?

G: Todays nasce nel 2015 per volontà dell’amministrazione locale in seguito a passate esperienze, l’idea era quella di costruire un festival cercando di guardare ai modelli europei; spesso in Italia si chiamano festival cose che in realtà non lo sono assolutamente, mentre il ragionamento che sta dietro a Todays tenta di costruire un cartellone che abbia senso oltre la semplice sequenza di concerti che si susseguono con un cambio palco, e soprattutto costruire qualcosa che andasse oltre il puro intrattenimento: l’ambizione è quella di incidere sulle idee e la coscienza delle persone, osare e proporre musiche e arti che difficilmente nella quotidianità le persone riescono a incontrare. L’idea portante è che uno vada a casa dopo il festival con la propria dose di lode e infamia dicendo non “wow è stato come me lo aspettavo” ma “wow è stato esattamente come non me lo aspettavo”, quindi lasciarsi stupire e andare verso anche quello che non si conosce e non necessariamente è sempre così rassicurante.

D: Torino è ormai riconosciuta come punto di riferimento importante per festival e rassegne musicali soprattutto nel campo dell’elettronica, con i vari Club2Club, Kappa Futur, Movement, etc.  Voi vi ponete come un’alternativa per gli amanti anche di altri generi, come vi vedete inseriti in questo contesto?

G: In realtà Todays parla del presente, del contemporaneo, anziché fare operazioni di revival artistico-musicale o al contrario anticipare troppo ciò che verrà, proviamo a fare una fotografia schietta e dinamica di questo momento. Quindi non si tratta di porsi ne in competizione ne altro con altre realtà e proposte artistiche. L’idea però è anche quella di abbattere i generi; per fortuna credo che, giunti nel 2018, non esista più il pubblico della computer music, il pubblico delle chitarre, il pop, rock, jazz, e quello che è, ma distinguere tra buona musica e meno buona, abbattendo i generi e i confini. Non a caso il festival si svolge anche in luoghi che riguardano la periferia cittadina, ma una periferia puramente geografica, non culturale, quindi rappresentare quelle musiche di confine, ai bordi del radar, e i generi diversi di pubblico, dai ragazzi più giovani ai più adulti. L’abbattimento dei generi, che si tratti di elettronica o di musica con le chitarre, è la caratteristica di ciò che proviamo e vogliamo fare.

D: Questo è bello da sentire, e da quanto dici mi viene da porti due domande: vedendo questa doppia dimensione del festival, da concerto e da serata elettronica ed altri generi, avete voluto diciamo creare un trait d’union tra due mondi che ahimè vengono ancora troppo spesso tenuti separati, come due mondi agli antipodi, e questo forse è un limite che ancora nell’immaginario comune si fa fatica a superare.

G: Questo è vero, ma è proprio questa secondo me l’ambizione e l’idea di un festival, cioè non è un concerto singolo al quale si va, ma un contenitore in cui dal primo pomeriggio a notte fonda le persone possano vivere diverse sensazioni ed emozioni musicali, che passano anche dai suoni più ostici, meno conosciuti, più sperimentali, fino ai suoni più Pop. Anche nelle precedenti edizioni la volontà era di attirare un pubblico che non necessariamente già conoscesse quella musica, a volte facendo degli accostamenti anche virtuosi nelle sequenze musicali, cercare più che il consenso del pubblico una tensione e attenzione creativa.

D: L’altra domanda con cui mi ricollego a quanto hai detto prima è il discorso di guardare un pò a tutte le età. Guardando i vari gruppi e artisti a cartellone, come si forma una line-up che funziona in base alla dimensione che si da all’evento e degli spazi a disposizione, fermo restando la volontà di espandere più collegamenti possibili?

G: C’è da dire che l’Italia è un paese molto complesso dove spesso la differenza tra ciò che si vorrebbe e si riesce a fare è spesso abbastanza labile, perché spesso si trova un pò al confine dei tour importanti europei delle band, rispetto a diversi altri paesi, e pertanto necessita di un lavoro lungo e tanta passione per riuscire a costruire una line-up che, innanzitutto, sia attraente per il pubblico italiano, e in qualche maniera lo sia anche in un contesto europeo. Todays è riuscito in queste quattro edizioni ad attirare un 40-45% del pubblico da altre regioni e altri paesi; questo vuol dire che un ragazzo europeo decide quel weekend di passarlo a Torino a vedere un festival e non soltanto, motivo per il quale Torino si presenta alle città del mondo e le città del mondo attraverso gli artisti e le musiche si presentano a Torino.

Il primo anno fu ad esempio particolare perché fu presente una giornalista del New York Times che scrisse in seguito un articolo raccomandando Torino come una delle città europee da visitare e, anziché descrivere la città come siamo abituati a leggere nelle guide, con le piazze, i monumenti, il Museo Egizio e altri luoghi importanti, parlava in realtà delle ex fabbriche abbandonate, dei parchi di periferia suggestivi, descrivendo una visione completamente diversa. Anche questo è importante nell’ottica di un festival, dove la musica è un elemento che presenta tutta la città e modi diversi di vivere la città, trasversali anche per varie fasce d’età. Ad esempio noi usiamo come location delle ex gallerie d’arte, anche suggerendo modalità diverse di utilizzo che possano avvenire nel resto dell’anno, ed improvvisamente un museo non è più un luogo “cristallizzato” nel suo utilizzo, ma un luogo dove possano esserci concerti, eventi e installazioni particolari.

 

D: A questo proposito, parlando delle location, non si può negare che oltre al programma (o meglio, prima ancora forse di fare un programma) la location è assolutamente determinante.  In questo Torino ha un ampio patrimonio di luoghi ex-industriali recuperati, e altri spazi che sono stati o possono essere nel tempo restituiti alla collettività. Quindi qual è il tuo modo di vedere le location per un evento e se una rassegna con anche l’impegno e la partecipazione degli enti competenti può avere una funzione “sociale” in questo senso.

G: Per noi è prioritario, la differenza tra una sagra di paese o un’animazione stile villaggio turistico e un festival sta proprio nell’avere un’incidenza sociale e culturale, senza voler essere troppo pomposi perché alla fine è un festival e si va per divertirsi, per sorridere, e ascoltare della musica, ma non tutti la stessa musica. I luoghi sono fondamentali perché non sono soltanto dei contenitori vuoti e asettici, ma sono risuonatori e riverberatori di musica. Quindi Mount Kimbie e Cosmo che suonano in questa ex fabbrica di inizio ‘900 è sicuramente qualcosa di suggestivo, dove la fabbrica è la trasformazione industriale della città, dai suoni dei macchinari passiamo ai suoni degli strumenti. I luoghi del festival, che si trovano sull’asse nord della città, vanno da un prato verde immenso del primo parco completamente ecosostenibile d’Italia fino a ex magazzini, depositi o ex fabbriche, in cui la musica diventa tutt’uno con l’ambiente e con le persone.

D: Ancora una domanda per quanto riguarda il vostro programma avete qualcosa di nuovo ed emergente, dei gruppi ormai affermati come MBV ed Editors, gruppi in grande crescita come War On Drugs e King Gizzard, e il programma elettronico che comunque non vede i soliti nomi. Quali sono gli artisti che avete voluto più fortemente? E quali secondo te saranno un pò le rivelazioni, se così si può dire, per il pubblico?

G: Questa è una cosa curiosa perché ogni anno è veramente una scommessa, spesso anche osiamo nella costruzione del timing, nel succedersi degli artisti, mettendo magari i cosiddetti headliner o presunti tali in orari differenti da quello canonico a cui uno si aspetterebbe, perché in Italia c’è sempre l’idea che ci sia l’headliner e che tutto il resto sia support. Secondo noi invece il festival va vissuto dall’inizio. Ci sono band come ad esempio i MBV che abbiamo inseguito non esattamente da ieri e ci teniamo perché c’è stato un lungo ragionamento; tra l’altro loro usciranno entro la fine dell’anno con un disco nuovo quindi non ci interessa fare un’operazione di revival, ma vedere oggi come viene accolto quel suono così aggressivo e tortuoso, in un momento in cui in Italia è un altro il sound più diffuso a livello pop.  Poi credo che tra un Ariel Pink assolutamente eccentrico piuttosto che King Gizzard siano nomi assolutamente da tenere sott’occhio perché saranno in grado di stupire. L’anno scorso ad esempio con Perfume Genius poco prima di Richard Ashcroft, fece un live ricordato e commentato molto favorevolmente. La scommessa è se una persona viene al concerto magari attratta dagli Editors o una band più grande ma poi torna a casa avendo avuto modo di scoprire altri artisti nuovi, o italiani, o anche in ambito elettronico dei nomi non proprio da copertine patinate.

D: Finora abbiamo parlato di musica, ma un festival non è solo musica, quanto una rassegna anche di arte, cultura, dibattito.  Ci puoi parlare delle iniziative che spesso vengono forse impropriamente definite collaterali e quindi un pochino trascurate a livello di pubblico, ma che sono comunque importanti per vivere il mondo della musica a 360°, non come semplice ascolto ma come una forma di espressione artistica e culturale. Voi come vi proponete di dare risalto a questi aspetti?

G: Anche questa è una parte fondamentale che contraddistingue un festival: circa 15.000 italiani ogni anno vanno al Primavera, al Sonar o altri festival. Noi proviamo a costruire quel tipo di atmosfera, e TO-LAB è un festival nel festival, una sezione legata all’innovazione e la sperimentazione, non solo per chi la musica la fa ma anche per chi la vive sotto altri punti di vista. Presso la galleria d’arte Gagliardi e Domke e gli Arca Studios sono tanti gli appuntamenti gratuiti dove si va da workshop più tecnici e intensi in cui si impara l’arte del visual o sound design nella musica, ad altri appuntamenti in cui giornalisti e addetti ai lavori parlano della musica del futuro. In particolare quest’anno il tema che toccheremo è quello del 3-D e la realtà virtuale, con gli italiani Uochi Toki, tra i primi a utilizzare nei live la realtà 3-D, i quali destrutturizzeranno un loro concerto insieme al pubblico analizzando pezzo per pezzo e facendo entrare un pubblico reale nella realtà virtuale. In tre location durante il pomeriggio si possono incontrare tanti eventi gratuiti e tanti lati diversi della musica.

D: Tra l’altro sono tutti temi caldi ed estremamente attuali. A questo proposito, collegandomi al tema del futuro della musica, volevo chiederti come è cambiato il mondo dell’industria musicale verso le piattaforme e quello che è l’aspetto della comunicazione musicale.

G: Ad esempio la domenica c’è un incontro dove tanti esponenti parleranno di questo. Basti pensare che lo stesso suono che ora viene prodotto digitalmente è lo stesso suono percussivo che negli anni andati veniva prodotto con percussioni autocostruite. Anche tutte queste piattaforme, da Spotify a tante altre, o piuttosto come queste parole (che in Italia sono ancora un pò aliene) come bitcoin o blockchain, applicate al mondo della musica, rivoluzionano chi la musica quotidianamente la consuma.  Negli anni ’90, pre-era social, pre-era internet, si macinavano km e km in macchina di sera per andare a vedere un concerto di un gruppo sconosciuto e magari arrivavi lì scoprendo in quel momento che il concerto era stato annullato. Oggi è completamente cambiata la dimensione della musica dal vivo, posso contattare la band sui social, vedere tutto ciò che succede pre-post-durante, video attraverso le piattaforme, ascoltare musica in anteprima. Questo è un aspetto da tenere assolutamente presente, è un momento “critico” nel senso di svolta e cambiamento, chi rimane troppo attaccato a metodi tradizionali per realizzare un evento rischia di dar luogo a qualcosa di superato: un ventenne considera Facebook vecchio, tanto per dire. Analizzare come le piattaforme agiscono, e che differenza ci sia tra noi che andavamo a comprare la musica su vinile (per quanto oggi sia tornato in voga) e chi oggi consuma la musica in maniera più veloce su altre piattaforme, è importante per capire il contesto. Poi due minuti dopo si va sotto il palco a sudare, e il contatto con il musicista che sta suonando dal vivo di fronte a te, con i suoni dei MBV che ti arrivano direttamente in pancia, è un bel salto.

D: Si parla molto di festival sotto l’aspetto dell’ impatto ambientale, del riciclo, dei consumi energetici; o da un altro punto di vista il rilievo che ora viene dato ai PIT, i festival sempre più svolti in modalità “cashless”, si sta evolvendo tantissimo il mondo degli eventi e dei concerti.  Come lo vedi in Italia e che cosa secondo te cerca il pubblico in tutto ciò, aldilà della direzione in cui naturalmente si stanno evolvendo gli eventi?

G: Mi ricollego alla tua prima domanda, secondo me in Italia il primo problema è innanzitutto capire cos’è un festival e il fatto che molte cose vengono chiamate con tale nome e non lo sono. Quindi diventa difficile affrontare i temi della sostenibilità di un festival quando ancora se non si riesce ancora a capire se tale formula abbia un senso in Italia e se esiste un pubblico abbastanza numeroso e coinvolto che partecipi a questo tipo di iniziative. Sono temi quelli che tu hai affrontato assolutamente attuali in contesto europeo ma non tanto ancora in quello italiano. Il tema della sostenibilità deve essere innanzitutto quella economica perché un progetto può essere bellissimo ma se i costi sono fuori budget non ha senso che esista. Nel nostro caso alcuni eventi si svolgono nell’ex area industriale ora parco ecosostenibile Aurelio Peccei. Nella scorsa edizione avevamo invitato dei rappresentanti del Reading Festival a parlare di cosa voglia dire rendere un festival ecologicamente sostenibile. In Italia siamo ancora un pò lontani dall’affrontare questo perché vorrebbe dire coinvolgere il pubblico verso una coscienza critica sociale che va oltre l’andare al concerto di un artista e tornare a casa. Per di più queste sono anche operazioni impattanti da un punto di vista di investimento, però credo sia sempre più la strada da seguire perché un festival sia un luogo dove le persone possano condividere una “esperienza”, dove i temi della sostenibilità o la vivibilità di un’area PIT ad esempio, vanno tenuti in considerazione.

D: Se dovessi consigliare un altro festival che non sia il vostro, cosa consiglieresti? Diciamo uno in Italia e uno all’estero. Quale magari tra quelli a cui sei stato ti ha colpito di più o vedi come un punto di riferimento?

G: Vado sulla contemporaneità, proprio in questi giorni si svolge il Siren Festival a Vasto che è molto interessante costruito in una location bellissima, e anche qui il luogo, in questo caso in riva al mare, è parte dell’esperienza insieme alla musica. Questo o Ypsirock ad esempio sono formule di “boutique festival” che mi piacciono molto nella costruzione della line-up e nell’idea generale. Per quanto riguarda l’estero c’è l’imbarazzo della scelta, si passa dai super-macro-festival a quelli più a misura d’uomo. Un festival che mi piace tantissimo è in realtà contemporaneo a Todays, è il Rock En Seine a Parigi, un festival dalla line-up importante e con artisti anche in coincidenza, perché Parigi-Torino non è una tratta così lontana e possono essere date abbinate, con la capacità di costruire una line-up dove ai grandi nomi si affiancano appunto nuove scommesse. Un festival all’estero può avere una line-up dai 50 nomi in su, mentre in Italia si fatica in tutto questo spesso rivolgendosi a un pubblico che magari è abituato ad andare a vedere un artista e lamentarsi se suona 1 ora e 5 anzichè 1 ora e 7.  Comunque ci sono molti altri festival consigliabili da scoprire, anche in posti piccoli e assolutamente magici.

D: Grazie Gianluca per essere stato con noi e aver risposto a questa panoramica sul mondo di un organizzatore, allora vi racconteremo prossimamente come sarà il TODAYS.

G: Assolutamente si, sul sito todaysfestival.com si trovano tutte le informazioni. Vi raccomando di partecipare alla musica dal vivo perché la dimensione del concerto è quella dove la musica la senti in pancia e nel cuore, e vi raccomando di ascoltare non solamente la musica che già conosciamo.

 

 

 

 

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