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Gilet Gialli: La Comune Della Cieca Rabbia

L' illusione, la grande illusione e ingenuita' psicologica dei promotori dei gilet gialli e' tutta qui : L' ILLUSIONE CHE UNA MASSA ETEROGENEA POSSA ESSERE UNA COMUNITA'.

Gilet Gialli: La Comune Della Cieca Rabbia

Non e’ per niente facile esprimere opinioni su questa protesta in Francia.
E tanto meno prevederne le conseguenze.
Certo cercare delle similitudini con il 68 puo’ sembrare un poco azzardato, ma e’ indubbio che lo strato inconscio di fondo che anima tutte queste persone ha un nome comune colle lotte del 1968.

Il movente che li accomuna e’ RABBIA, RABBIA CIECA INCOSCIENTE E SPESSO INESPRIMIBILE.
RABBIA VERSO IL POTERE CHE LEGIFERA SULLA TESTA DELLE PERSONE.
RABBIA PER TANTE COSE REPRESSE A CUI NON SI SA DARE UN NOME.

 

Appare evidente che la tassa sulla benzina e’ un puro pretesto, una ultima goccia che ha innescato una scintilla incontrollabile.
Macron ha ritirato il provvedimento, ma pare non sia servito a nulla; la psicosi della rabbia collettiva e’ dilagata e fa accomunare tante altre rabbie represse in un moto, un’ onda che oramai NON SA PIU’ PERCHE’ AVANZA E TANTO MENO PER COSA.
Ma non ha nessuna importanza sapere perche’ si lotta quando una cieca ira fa muovere, SI DEVE CHIUDERE GLI OCCHI DELLA RAGIONE E COMBATTERE.
E la logica del gruppo, del gregge, della follia collettiva, della immaginazione, della liberazione dell’ inconscio.
E l’ azione della massa che viene assurta a mito, a verita’.
LA MASSA POSSIEDE LA VERITA’ , E’ LA VERITA’.
L’ immaginazione della massa e’ la forza trainante, il potere che libera.
Nel maggio del 68 lo slogan che si gridava per le vie di Parigi era:
” Imagination au pouvoir !”
E si cessava di pensare, di usare la ragione.
La psicosi del collettvo ( rottura degli schemi, ribellione, follia, creativita’ ) prendeva il sopravvento sulla nevrosi del singolo ( regole, inquadramento, repressione, alienazione, innaturalita’ )’
E per la “verita” della massa si abdicava ad essere se stessi e ad usare la propria intelligenza.

Negli anni 60 in Italia vi sono state tante lotte operaie che hanno contagiato anche gli studenti.
Erano soprattutto lotte salariali che hanno generato in conseguenza lotte di potere.
La massa ben poco sapeva cosa veramente voleva e spesso si muoveva per la carica mitica e carismatica di coloro che sapevano guidarli.
Un grande sindacalista di quegli anni, artefice e promotore di tante lotte e conquiste sindacali, Pierre Carniti, usava spesso citare dal palco, nelle manifestazioni un proverbio cinese ( molto maschilista ) a mo di metafora di stimolo alla lotta per coloro che erano incerti, indecisi.
Egli conosceva bene la semplicita’ intellettuale e psicologica della maggior parte degli operai.
Per questo declamava questo proverbio :

” Il contadino cinese quando torna a casa la sera con la schiena rotta, picchia la moglie senza saperne il motivo, ma non se ne da pena, TANTO LEI SA PERCHE’ LO FA !”

Anche voi non preoccupatevi di spiegarvi perche’ lottate contro I padroni, TANTO LORO SANNO PERCHE’ LO FATE !

Ma la storia umana per quanto sembra ripetersi in realta’ si evolve e si rinnova.
Queste manifestazioni in Francia mostrano sprazzi di creativita’ nuove, originali.
Quasi per gioco, e poi seriamente, scoprendone la validita’ dell’ immagine, hanno adottato una specie di divisa , I gilet gialli, che si e’ subito dimostrata strumento di riconoscimento, di accomunazione, di messaggio subliminale alla societa’.
Messaggio subliminale che si e’ sparso a macchia d’ olio e che ha generato grandi solidarieta’ e tante adesioni.
Adesioni le piu’ disparate e spesso incontrollate e incontrollabili sfociate anche nella violenza gratuita.
Violenza gratuita che conseguentemente sta generando ostilita’.
Il gilet giallo dietro il quale nascondere la propria fragilita’, la propria paura di esternare la rabbia e le rabbie ignote covate da tanto nel profondo di se, ora diviene strumento di isolamento sociale e morale tanto caro al potere per circoscrivere e reprimere ( con la benedizione di quasi tutto il corpo sociale ) tutta la carica ideale e giustizialista che esso rappresentava.

Sapere l’ evoluzione e I risultati che I gilet gialli raggiungeranno e’ azzardato immaginarlo.
Il maggio francese del 68 ebbe come risultato piu’ eclatante le dimissioni e l’ allontanamento del presidente Charles De Gaulle, e forse anche da queste proteste sortira’ qualche nuovo beneficio e qualche nuovo condizionamento sociale, politico e culturale.
Perche’ , da sempre, il potere sa trarre, sa fagocitare ogni forma di contestazione per creare un nuovo ordine sociale.
Ovvero una nuova alienazione, una nuova nevrosi, nuove rabbie.
E cosi sara’ finche’ si deleghera’ alla massa eterogenea e cieca il governo della propria realizzazione personale.

L’ illusione, la grande illusione e ingenuita’ psicologica dei promotori dei gilet gialli e’ tutta qui : L’ ILLUSIONE CHE UNA MASSA ETEROGENEA POSSA ESSERE UNA COMUNITA’.
Una comunita’ animata da una comune carica morale.
Una comunita’ consapevole che la propria liberta’, la propria verita’, la propria felicita’ NON e’ raggiungibile delegando ad altri le proprie decisioni e tanto meno elemosinando da un potere qualsiasi, sopra o fuori da se’, questi diritti personali inalienabili e indelegabili
Democrazia non significa mettere una crocetta su di una scheda per delegare qualcuno a fare delle scelte per noi.

DEMOCRAZIA SIGNIFICA ESSERE DECISORI E PADRONI DELLE PROPRIE SCELTE, DELLA PROPRIA VITA.

Giorno dopo giorno, attimo dopo attimo.
Sempre.

Ma questo, I gilet gialli, che sono rimasti ai diritti di mettere piu’ benzina nei serbatoi delle loro macchine, mentre altri sognano ancora un pezzo di pane, non lo realizzeranno ancora.

E cio’ che ancora restera’ sara’ sorda nevrosi, CIECA RABBIA !
Come nel maggio del 1968, che mentre si urlava ” il potere alla immaginazione ” si avvertiva la limitatezza e la finitezza della forza d’ urto della sola rabbia cieca e come suadente consolazione si alternava ai tanti slogan il grido: ” Ce n’ y a qu’ un debut…. nous continuons le combat ! ”
” Questo non e’ che l’ inizio… continueremo la lotta ! ”
Poco dopo scoppiava l’ estate, le scuole finivano e I lavoratori dovevano godersi le sacrosante ferie.
Ed alla rivoluzione di maggio non restava che andare anch’ essa in vacanza.
Ora siamo in inverno e saranno, forse, le feste di Natale e la Settimana Bianca a riscaldare gli animi di nuove labili e volatili consolazioni.

 

POSTILLA PSICO-SOCIOLOGICA DEL 68 ITALIANO

Mentre in Francia la lotta politica faceva cadere De Gaulle, nelle universita’ il sistema baronale cambiava maschera per allargare, ma nel contempo innalzare la piramide gerarchica, e nelle fabbriche si perequavano I salari per allargare la massa degli utenti dei beni di consumo voluttari, in Italia si faceva cadere il governo demo-fascista di Tambroni per ottenere un governo demo-paternalista di Fanfani-Andreotti con buona pace dei lavoratori genovesi che tanto si erano dati da fare.
Nelle scuole e nelle universita’ si sperimentavano scimmiottature francesi senza innovazione alcuna sui contenuti e metodi di insegnamento,
con buona pace di Mario Capanna leader dei movimenti studenteschi.
La rivendicazione nelle fabbriche era molto piu’ terra-terra.
Certo, sotto la spinta dei sindacati, si volevano ottenere diritti di assemblea e rappresentanti sindacali di fabbrica, ma la sostanza di fondo era ottenere piu’ soldi.
Piu’ soldi per avere quello che avevano gli impiegati ( che non scioperavano ), I dirigenti e I padroni.
” Siamo noi I produttori dei beni che loro godono “- gridavano gli operai,- ” vogliamo poterli avere anche noi ! ”
Poi tutto e’ finito col solito antico metodo del ” dividi ed impera “.
Padroni e sindacati hanno inventato il sistema della contrattazione aziendale e pian piano si sono spenti tutti I focolai di protesta.
In tutta questa rappresentazione si e’ inserita una gemma di valore certamente non marginale.
La massa reclamava l’ accesso ai beni di consumo dei piu’ ricchi ed un imprenditore intelligente e assai illuminato di nome Agnelli ha cercato di dare maggior potere d’ acquisto ai salari ( senza intaccare il potere del capitale, bensi aumentandolo ) mettendo sul mercato una automobile il cui costo era alla.portata della gran massa di lavoratori.
Ora il proletario si sentiva
appagato, realizzato; poteva tenere in mano un volante di una macchina come il suo capo e fare bella figura.
Decidere di poter andare ( la domenica soltanto ), dove gli pareva dava a lui la pseudo-convinzione di essere padrone di se’ e della propria vita.
UN GRADINO PIU’ SU NELLA SCALA GERARCHICA SOCIALE !

E la massa trovo’ quiete.
Sino alla prossima rabbia.
….la prossima cieca illusione.

Questo e’ l’ uomo…..
e cosi e’ se vi pare !

 

 

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3 risposte

  1. Scusate ma sul ’68 scrivete cose inesatte, che sembrano provenire da vulgate qualunquiste su quegli avvenimenti. Scrivere che con l’estate il movimento andò «in vacanza» è assurdo, scioperi, occupazioni di fabbriche e scontri proseguirono, seppure con maggiori difficoltà, per tutto giugno e tutto luglio, La Sorbona e l’Odeon furono sgomberati a fine giugno, ma il 13,14,15 e 16 luglio a Parigi ci furono di nuovo violenti scontri, e per tutta la seconda metà di luglio ci furono i fatti del festival d’Avignone. La repressione finale del grande sciopero dei giornalisti, con il licenziamento per rappresaglia di migliaia di scioperanti, fu ad agosto, Già dire che il movimento finì con l’inizio dell’estate è assurdo, anche perché le conseguenze continuarono negli anni a venire, non solo in Francia ma in tutta Europa, a cominciare dall’Autunno Caldo in Italia. Dire che finì perché «i lavoratori dovevano andare in ferie», poi, è davvero qualunquista e snob.

    1. Gentile Matteo,
      sono l’ autore dell’ articolo:…DELLA CIECA RABBIA, e concordo pienamente sulle conclusioni che ne trai.
      E’ veramente un atto snobistico, a 50 anni di distanza, e seduti ad una comoda scrivania, fare citazioni storiografiche riiassuntive e parziali.
      Come e’ altresi qualunquistico liquidare un grande moto di presa di coscienza politica con un laconico e irrealizzato motto ” imagination au pouvoir “.
      Anzi posso rincarare la dose: Matteo sapra’ che il ” maggio francese “, e’ un eufemismo, uno slogan riassuntivo di una infinita serie di lotte politiche e sindacali iniziata nel 1960 e durata per un intero decennio.

      A mia modesta e limitata discolpa posso solo dire che non solo ho speso quei 10 anni in quegli avvenimenti, che sono stato spedito all’ospedale e portato dentro 13 volte in questura e che sono uno ( qualunque ) di quei tali licenziati per rappresaglia.
      Tutto questo solo per dire a Matteo che io c’ero. E come se c’ero !
      In quei 10 anni avevamo per la testa qualcosa che credavamo piu’ importante dei giochi di guerra dei figli di papa’ che arrivavano alla Sorbona, alla Statale e fuori dalle fabbriche con la maccchina di papa’ e che volevano insegnare al “popolo” come si faceva la ” rivoluzione alla maniera di Marx, Mao, Marcuse ”
      Le nostre sgangherate biciclette li facevano ridere quando manifestavamo contro I carri armati sovietici a Praga, a Budapest, al muro di Berlino.
      E contro la guerra in Vietnam.
      A sera noi tornavamo a casa con la busta paga dimezzata, o con la lettera di licenziamento, loro, ( col pugno chiuso ), ci salutavano dal finestrino della macchina di papa’ rinviando al giorno dopo il “gioco” della ” rivoluzione “.

      E Matteo, da buon storico, sa che come al solito, in qualsiasi rivoluzione essa e’ sempre ( anche se mai ammessa ) lotta di potere per creare un nuovo ordine fra classe dirigente e classe subalterna.
      ( Basta ricordare la rivoluzione francese, quella inglese, quella americana, quella russa e dulcis in fundo la “comune ” di Parigi.
      Per questo in quegli anni era quanto mai evidente, (come ho citato nell’ articolo ) la grande illusione che vivevamo di credere CHE UNA MASSA GRANDEMENTE ETEROGENEA POTESSE ESSERE UNA ” COMUNITA’ “.
      Che borghesi e poveracci potessero divenire l’anima di uno Stato sociale e politico nuovo.

      Ma basta coi lamenti.
      Per quanto presente, la mia visione e interpretazione dei fatti rimane comunque limitata, parziale e personale.
      Matteo avra’ certamente da obiettare e controbattere, per questo spero voglia comunque perdonare la mia partigianeria.

      Ma non e’ per tutto questo che ho risposto al suo commento.
      Se Egli vorra’ cortesemente rileggere l’ articolo, forse, potra’ osservare che esso non aveva alcuna pretesa di valenza storiografica bensi UNA ANALISI PSICO-SOCIOLOGICA di un fenomeno sociale ricorrente nella cultura europea: L’ ESPLOSIONE QUASI PERIODICA DI RABBIE REPRESSE.
      L’ esplosione nevrotica di una societa’ che, pur se mascherata da rivendicazioni salariali, sindacali, culturali, politiche, brama ad una equita’ di partecipazione, di valori comuni, di realizzazione personale.
      Insomma: ESPLOSIONE DI DESIDERI REPRESSI.

      DESIDERIO DI FELICITA’ IRREALIZZATA, PUR SE COL SERBATOIO PIENO DI BENZINA A PREZZO RIDOTTO.

      Per questo vorrei invitare Matteo a fare, se vuole, un sforzo per contribuire, ed eventualmente migliorare, QUESTA ANALISI SOCIOLOGICA.
      I fatti storici, sono ormai passati; a me interessa osservare, scrutare, intravedere, in essi una evoluzione, una crescita, una visione nuova della comunita’ sociale in cui viviamo.

      Per smettere di limitarci a gardare il dito che indica la luna e cominciare, finalmente ad alzare il nostro sguardo verso la luce di quel corpo celeste.

  2. Per stimolare Matteo a dare un suo contributo analitico del fenomeno ciclico sociale della CIECA RABBIA vorrei raccontare alcune mie ingenuita’ di allora, per chiarirgli il senso profondo ( a mio avviso ), del ” maggio che se ne andava in vacanza, in ferie ” , ovvero della lotta che si spegneva per mancanza di ideali, di obbiettivi comuni, di vero spirito rivoluzionario, di comunanza profonda.
    E mi spiego.
    In tante di quelle interminabili, caotiche e fumose assemblee nelle universita’ e nelle fabbriche, mi sono permesso, – da pessimo sindacalista e ancor peggiore rivoluzionario -, intervenire in tante occasioni di fare presente ai vari leaders pseudo-marxisti che il loro idolo, che tanto aveva teorizzato sul capitale aveva preso una grossa cantonata dicendo che esso era il potere assoluto.
    Aveva dimenticato la teoria del “servo-padrone” del suo maestro Hegel.
    La scoperta cioe’ CHE IL VERO POTERE E’ DI COLORO CHE PRODUCONO I BENI DI CONSUMO.
    CHE ESSI SONO I CONSUMATORI DI QUESTI BENI

    CHE IL VERO POTERE QUINDI, E’ IL CONSUMO E NON IL CAPITALE.
    Che noi per questo, dovevamo controllare, dominare, determinare I NOSTRI CONSUMI.
    Scioperare nei consumi.
    A partire da quelli superflui e voluttuari sino a privilegiare e selezionare quelli necessari.
    Solo cosi avremmo messo alle corde I padroni del vapore che sapevano solo godere dei beni senza saperne produrre nemmeno uno.
    ” Questi nostri scioperi, occupazioni, manifestazioni, chiacchere,”- dicevo, ” sono sterili giochi inefficaci se non facciamo prima questa “rivoluzione” dentro di noi”.
    ” Se non colpiamo e neutralizziamo la vera arma del potere saremo sempre sconfitti”.

    A questo punto, nelle aule magne della Sorbona e della Statale, negli affollati saloni della CGT, della CGIL, CISL, UIL, nelle fumose cantine di Potere Operaio e Lotta Continua, nelle angeliche sale di Comunione e Liberazione venivo prima guardato con stupore ed incredulita’, poi venivo preso delicatamente ma decisamente per il bavero da qualche katanga-gorilla, il quale sussurrandomi di non rompere il cazzo con simili discorsi infantili, mi sbatteva, ( sempre delicatamente ) fuori dalla porta.
    Ma la mia ingenuita’ dei vent’anni non si limito’ a questo.
    La notte di Natale di quegli anni, con alcuni amici coristi, ci presentavamo nelle chiese offrendoci di cantare canti di Natale durante la messa.
    Quando toccava a noi, sull’ aria di Stille Nacht cantavamo a squarciagola: ” Caro signor…consumator…tu lo sai che il Natal… e’ la festa del gran sperperar…inventata dal gran capital…per spillare quattrini… anche a chi non ne ha…e se ci pensi un po’ su’…che cosa centra Gesu’…che cosa centra Gesu’.
    A questo punto le signore impellicciate si alzavano in piedi con visi stupiti, e il prete, prima un po’ imbarazzato, poi con viso solenne diceva:” qualcuno accompagni fuori questi ragazzacci !”

    Giochi di ragazzi, ingenue consapevolezze, responsabilita’ morali in seme che segnavano un percorso di maturita’

    Forse questo scritto e’ un’ altra delle ingenuita’ della coscienza di questo alieno, anacronistico giocatore della Vita.

    Della vita che va vissuta rivoluzionariamente, gioiosamente e … inconsciamente.

    Ora, Matteo, …a te il gioco !

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