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Recensione : GRAHAM DAY AND THE GAOLERS – Reflections In The Glass

Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo, Graham Day: chitarrista, frontman e membro fondatore di diverse band, veterano polivalente jolly della scena garage rock revival esplosa in Inghilterra nei primi anni Ottanta (nonché collaboratore di un’altra leggenda vivente del garage rock britannico e mondiale, sua maestà/bassa fedeltà Billy Childish) una figura che, al pari del suo meraviglioso compare, è sempre troppo poco celebrata come meriterebbe.

Quest’anno il buon Graham, dopo aver pubblicato nel 2022 il suo Lp di debutto assoluto da solista, ha pensato bene di riattivare i suoi Gaolers e, a quindici anni di distanza dall’ultimo studio album, “Triple Distilled“, torna a pubblicare nuovo materiale con questo moniker e, qualche mese fa, ha dato alle stampe questo “Reflections In The Glass“, terzo full length complessivo del progetto (come tanti altri lavori, anch’esso previsto inizialmente nel Duemilaventi, prima che esplodesse globalmente la pandemia da covid-19) uscito sulla benemerita Damaged Good Records. A livello sonoro, col nostro si va sul sicuro, e allora ecco pronti da gustare dodici brani cucinati con la consueta, saporita ricetta a base di garage rock, mod, beat e power pop.

Il trio (composto da Graham Day alla chitarra, voce e organo; Jon Barker al basso e all’hammond, piano e backing vocals; “Dan Elektro” alla batteria) apre le danze con la frizzante “Mystery man“, dal timbro Who, al quale fanno seguito “Narrow mind” (già presente sull’esordio solista di Graham, qui in una versione energizzata) “Step out of your parade” e “A Rose Thorn Sticking in Your Mind’s Eye (altro remake da “The master of none“), condite da riffoni e armonie dannatamente Kinksiane, mentre “I can’t stop this feeling” è contraddistinta dal feeling agrodolce dell’organo che spadroneggia lungo tutti i tre minuti di durata del pezzo. “I will let you down” è un altro riarrangiamento di grintoso beat/punk proveniente dal 2022, le fresche armonie Beatlesiane di “My body tells me the truth” sono felicemente contagiose e l’esuberanza di “Different rules” è un toccasana per gli amanti di sonorità Sixties oriented (muovendosi sempre sui lidi Who/Kinks) refreshate con l’urgenza del garage rock (sound messo ottimamente in risalto dall’impeccabile produzione curata da Jim Riley insieme agli stessi Gaolers). “Don’t hide away” (altra canzone ripescata dall’anno scorso) col suo piglio brusco e malinconico, è una di quelle covid songs che fanno riflettere e sperare e invogliano (soprattutto le persone che, a causa della pandemia, si sono rinchiuse in loro stesse e hanno rinunciato a tornare nel mondo reale) a non mollare la presa né a lasciarsi sopraffare dagli eventi e dalla paura instillata dal terrorismo psicologico operato dai mass media. La parte conclusiva del disco è affidata alle amare liriche del beat organistico di “History on repeat“, alla già editaTime is running out“, rinvigorita nelle sue fragranze Mod/punk, e ai quattro minuti di “Filtered face“, il pezzo più elaborato e soulful del lotto.

Guitar playing graffiante e brillante, aggressività e melodia, una produzione azzeccata e potente, un Graham Day in versione “highlander” e più ispirato che mai: Medway garage-beat at its best, difficile pretendere di più (e meglio). Questi carcerieri non fanno prigionieri, ma potrebbero detenere, almeno per una mezz’oretta, il controllo dei vostri timpani, menti, corpi e anime. Supportate e acquistate questa musica, ché di sicuro non troverete come sottofondo nei supermercati, mentre l’italiano medio fa la spesa e discute e si infervora su argomenti cruciali per il destino dell’umanità: direte voi, per caso è l’intelligenza artificiale (AI)? O l’insostenibile carovita causato dall’inflazione e dal sistema di neoliberismo capitalista che scarica le perdite e i costi delle crisi sul 99% del genere umano, mentre tutela e privatizza i profitti accumulati dall’uno percento più ricco del nostro pianeta? Macché: sono le pesche per i genitori divorziati.

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